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L’arte di celebrare

Tempo di lettura: 4 minuti

“È questa infatti l’importante funzione delle festività nell’economia psichica del bambino: dargli la forza necessaria al mestiere di vivere”.
Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto

Il Resto delle Parole compie 100 uscite: un traguardo non da poco per una realtà fondata sul libero contributo di singole persone che condividono il proprio pensiero: una bella occasione da celebrare!
Purtroppo, nella nostra società, spesso intrisa di un retaggio cattolico basato sulla mancanza, sulla colpa e sul peccato, siamo poco portati a festeggiare, se non le feste canoniche.

Eppure molti esempi culturali e intellettuali ci raccontano quanto sia importante celebrare.
A partire da Bruno Bettelheim che nel suo libro “Un genitore quasi perfetto” ci spiega come per i più piccoli le cerimonie e le feste siano qualcosa di vitale importanza. I momenti di festa, le tavole imbandite e i riti familiari hanno un significato che va ben oltre l’occasione concreta, in quanto non sono soltanto convivialità o abbondanza di cibo, ma agli occhi del bambino sono veri e propri strumenti simbolici attraverso cui si vince l’angoscia e la paura, si crea sicurezza, si coltiva appartenenza. Per i più piccoli, ed in fondo anche per noi adulti, vedere una comunità radunata attorno a un evento rassicura sul fatto che non siamo soli, che nei momenti di crisi c’è una rete più grande, che sostiene e rinforza quelle che sono le figure di riferimento quotidiane.

Citando Bettelheim, sempre nello stesso libro, lui ci fa riflettere, dicendo:
Dà sempre un senso di esaltazione sentire di essere l’origine di una festa speciale, come avviene ai bambini quando si festeggia il loro compleanno. Momenti di così intenso significato personale sono davvero preziosi, perché, oltre alla gioia del momento, ci trasmettono una vitale speranza per il futuro. Quanto più ci sentiamo piccini e insicuri circa il nostro nel mondo, tanto più abbiamo bisogno di vedere affermata la nostra importanza, possibilmente dal mondo intero, e comunque dalle persone che più contano per noi.

I bambini hanno un particolare bisogno di questa esperienza, come possiamo vedere nelle feste loro dedicate, sia personali, come i compleanni, sia di tutti i bambini, come il Natale. In quelle occasioni essi sono al centro dell’attenzione di tutti, possono sentirsi importanti, e i regali che ricevono servono a dimostrar loro che sono amati e meritevoli di amore. Se queste feste sono celebrate con lo spirito giusto, il loro splendore continuerà a riscaldarli per tutta la vita. Il ripetersi regolare di tali eventi, che scandiscono l’anno e dunque la vita del bambino, costituisce ai suoi occhi la garanzia che la sua importanza non viene meno, e la dimostrazione che è bello che la vita sia organizzata attorno ai momenti felici.”

La celebrazione diventa così cura invisibile: non è tanto l’oggetto, come la torta, il regalo, la festa, il brindisi, a contare, quanto più la forma rituale che ci unisce: è questo che dà stabilità alla coscienza e all’inconscio, che trasmette continuità e significato anche nei momenti più difficili. Ci aiuta a creare una comunità interiore che ci sostiene anche alla distanza, anche nella paura e nei momenti di solitudine buia. Ci aiuta a rinsaldare il nostro essere, donandoci importanza e facendosi sentire degni d’amore.

Al tempo stesso, le celebrazioni ripetute nel quotidiano creano un ancoraggio emotivo positivo: insegnano a riconoscere i traguardi raggiunti, grandi o piccoli che siano. È una forma di educazione alla gratitudine e all’autostima: chi impara fin da giovane a fermarsi per sottolineare un passo avanti, cresce con la capacità di riconoscersi merito, di non passare oltre come se nulla fosse. Con il tempo questo diventa un sistema interiore, una sorta di auto-premio che non necessita più di applausi esterni, ma che continua a nutrire dall’interno.

Ma c’è di più. Celebrare non significa soltanto esaltare il positivo, ma anche riconoscere il valore delle difficoltà. Ogni caduta, ogni errore, ogni ferita porta con sé un insegnamento. Dare spazio anche a questo, senza trasformarlo in giudizio o fallimento, è già un modo di celebrare: vuol dire accogliere la vita nella sua interezza, non solo nelle sue vittorie. Anche questo è molto più diffuso in altri Paesi, ma possiamo cogliere gli esempi virtuosi e festeggiare i fallimenti, superare la vergogna e condividerli, partendo soprattutto dall’infanzia per rinforzare la capacità e la voglia di provare e riprovare, rialzarsi e non restare paralizzati dalla paura del fallimento, quanto piuttosto essere aperti e fiduciosi, traendo insegnamento da ogni esperienza del nostro cammino.

La celebrazione ha poi una dimensione comunitaria: celebrare insieme moltiplica la gioia, la rende condivisibile, costruisce un linguaggio affettivo che non ha bisogno di spiegazioni. Una cena in famiglia, un brindisi con gli amici, una cerimonia collettiva: sono tutte forme che ricordano che la felicità non cresce in solitudine, ma fiorisce quando trova eco nell’altro. Anche crescendo, quando festeggiamo il nostro compleanno o le feste a noi care, quel che più ci scalda il cuore è rivedere la foto con tutte le persone a noi care riunite per donarci tempo, sorrisi e presenza.

Non è importante la scala della celebrazione. Un diploma o una laurea, certo, sono grandi eventi che chiedono un rito collettivo, così come le nascite o i matrimoni, ma anche una colazione offerta a un amico per festeggiare un’occasione lavorativa, o il brindisi improvvisato dopo aver concluso un compito difficile o un colloquio lavorativo, hanno lo stesso valore: ci insegnano a fermarci, a riconoscere il positivo, lo sforzo e l’impegno, dando spazio alla gioia invece che lasciarla passare inosservata.

Ricordiamoci che non servono sempre grandi occasioni e possiamo decorare le nostre giornate con micro-celebrazioni, piccoli gesti che portano luce nella quotidianità come, ad esempio, scrivere un diario dei successi, offrire un caffè per festeggiare un passo avanti, fermarsi un momento per respirare e ringraziare. Questi atti semplici diventano allenamento alla gratitudine, semi di gioia che, giorno dopo giorno, nutrono l’anima.

Anche la pratica dello yoga, ad esempio, ci ricorda che la celebrazione più autentica è interiore: è una pratica del cuore. Celebrare è riconoscere la bellezza nella semplicità, un tramonto che colora il cielo, un saluto che scalda, un respiro che ci ricentra, perché tale arte è, in fondo, la capacità di gustare la gioia dell’istante. Non è tanto il successo ottenuto, quanto la presenza stessa a ciò che c’è, a questo frammento di vita che continuamente ci viene donato.

In questa centesima uscita del blog voglio dunque brindare simbolicamente con te che leggi e con chi ha camminato questo progetto in questi anni, rendendolo possibile con cura e dedizione. Celebrare è la prova che qualcosa ha preso radici, che un seme è stato coltivato e che la sua fioritura non è un atto isolato, ma un processo continuo, fatto di costanza, pazienza e lavoro collettivo.

E allora sì: fermiamoci un momento. Non solo per guardare indietro a ciò che è stato, ma per riconoscere la forza creativa del celebrare, che sia un grande rito condiviso o la semplicità di un respiro. Perché celebrare non è un lusso, non servono grandi feste o lustrini, ma un’arte che ci ricorda che siamo vivi, in relazione e in cammino, e che la vita, semplicemente, è già una festa.

“Le feste sono gli avversari segreti del cuore.”
Longfellow

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