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Resistere o resilire, questo è il dilemma

Tempo di lettura: 2 minuti

Che cosa è la vita?
È il susseguirsi dei giorni , delle stagioni del cuore e della mente.
La vita è cambiamento continuo.
Un enciclopedia animata di straordinarie mutazioni adattative.

Mi è stato chiesto di riflettere su un concetto molto masticato ultimamente… quello della resilienza.
Mi sono resa conto, che molti confondono la resilienza con la resistenza.

La prima, prevede di reagire e mettere in atto una serie di adattamenti e di meccanismi reattivi psicologici ed emotivi, per ripristinare un equilibrio rotto da un evento traumatico, da una difficoltà.
La seconda, prevede la capacità caparbia di non arrendersi, continuare a correre, nonostante l’acido lattico pervada i muscoli, nonostante la fatica, il dolore o la noia.
Si prova a resistere al freddo, ad un lavoro sfibrante ma necessario, alla monotonia della quotidianità.
Credo che in fondo, le due cose siano strettamente correlate.
Ma quando si incontra una persona resiliente, è impossibile non provare ammirazione ed empatia.
La resilienza diviene spesso un modello, un tesoro da ammirare, imitare.
Perché la capacità di reagire ad un trauma, è l’espressione di un bagaglio di qualità e risorse umane, che vorremmo tutti avere.

Essere resilienti, è più che essere resistenti.
Chi resiste, sopravvive.
Chi è resiliente, vive.
E non è la stessa cosa.
Le facce sono diverse.
Gli sguardi.
Lo spessore della corazza che ti trascini dietro.
Molto spesso, chi è dotato di resilienza, l’ha pagata cara.

Il trauma a cui ha dovuto reagire, ha cambiato i connotati del proprio io, che è morto e poi rinato dalle proprie ceneri.
Ha pelato una carta dal mazzo degli imprevisti, ma ha continuato a giocare, sapendo che il mazzo delle probabilità è lì ad attenderlo… quando sarà il momento e quando ci sarà la predisposizione cosmica perché finalmente la mano ci si posi sopra.
Si continuano a tirare i dadi e ci si adegua stoici alle nuove situazioni che si configurano, apprezzandone comunque il valore e il colore, reagendo per mantenere un omeostasi emotiva piena di sole.

Chi resiste, a mio avviso, è più passivo.
È un mulo, che piega la testa mentre gira in circolo per fare girare la macina del mulino, senza mai chiedersi cosa c’è oltre quel compito, quel dovere.
Non è debole, è resistente.
Ma quanto è libero?

Ecco, forse, proprio la ricerca della libertà, intesa come capacità di uscire da un confine privo di muri ma apparentemente invalicabile, è il fuoco primordiale da cui parte la scintilla della resilienza.
Ci si deve liberare di un dolore.
Ma prima, ci si è dovuti bruciare.
E fa male.

Forse, la più pura forma di resilienza, la si vive in modo inconscio e istintivo, al momento della nascita.
Si abbandona il ventre materno e si viene accolti dal mondo…. un primo meraviglioso e crudo trauma a cui reagire , un nuovo passaggio, la prima mutazione a cui adattarsi.

Non so cosa sia più opportuno augurare a chi si vuol bene…
Ma sappiate che se siete nati una volta, potrete farlo ancora e ancora.
Nonostante tutto, nonostante il dolore.

Copertina: immagine Depositphotos

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