Cos’è la paura
1977
Non so se sono una persona adatta a parlare di paura. Non ho vissuto la guerra, la mia famiglia non mi ha abbandonato, non mi sono perso in un bosco di notte, un estraneo con cattive intenzioni non mi ha sorpreso in casa; comunque c’è un momento in cui credo di aver provato a sentire quell’amaro in bocca, quel crampo allo stomaco, quella non percezione del trascorrere del tempo che dovrebbero essere chiari sintomi di paura.
Un anonimo pomeriggio di settembre a Roma, un figlio piccolo, una passeggiata in centro di pomeriggio. Ci muoviamo con la carrozzina e ci avviamo verso piazza Venezia e Campo de’ Fiori. Allora si entrava in centro senza problemi, niente ZTL.
La strada è ben nota, poco traffico, maniche corte e la bell’aria di Roma nei pomeriggi caldi e ventilati; il cielo, manco a dirlo, è azzurro ed il sole si abbassava a giocare con i colori ocra dei palazzi del centro. Ad un certo punto su una piazza (forse Cairoli) compare uno schieramento di celerini in tenuta da combattimento in mezzo ad una lunga teoria di blindati. Nessuna sorpresa, dopo il ‘68 ed il ’76, ci eravamo abituati a vedere a Roma movimento, manifestazioni, scontri e cortei ma i romani sono così da due millenni: si abituano.
La passeggiata però prosegue e bisogna trovare parcheggio, anche allora!
Ricordo l’auto, era una Citroen GS e continuavo a girare: piazza Farnese, piazza della Quercia ma con scarsa fortuna finché d’improvviso mi sbuca davanti un gruppo di ragazzi col volto coperto, cappelli, passamontagna, bandane, qualche casco e qualche bastone. Si muovevano velocemente verso l’auto e subito dietro le loro spalle si cominciava a vedere una folla di altre persone che avanzava rapidamente. Si spostavano quasi con frenesia, spesso si voltavano a turno all’indietro come per vedere se qualcuno li inseguisse; dai loro movimenti era chiara la sensazione che chi stava loro dietro non fosse certo un amico.
Immediatamente ingrano la retromarcia e mi giro per guardare indietro, niente telecamere posteriori allora, e lo sguardo mi cade per un attimo sulla culletta dove mio figlio stava dormendo: solo un attimo ma sufficiente a farmi sentire sfiorato dal primo soffio di paura.
Via di corsa all’indietro fino ad una specie di nicchia dove scendiamo dalla macchina e ci infiliamo in un negozio. Si, proprio in quella strada c’era la gioielleria di una amica di mia madre ed abbiamo fatto appena in tempo ad infilarci dentro perché anche lei aveva sentito il soffio della paura e stava tirando giù la serranda del negozio. Non era la sola a farlo, in un attimo quella strada normalmente viva e piena di gente si era ridotta ad un cimitero in cui le lapidi erano le serrande dei negozi con le insegne spente come epigrafi. E dentro quei negozi c’era la paura dei morti.
Il rumore dei disordini saliva e filtrava sotto le serrande portando con sé il soffio della paura.
Poche parole con le persone chiuse nel negozio e la ricerca del posto più adatto per la culletta del piccolo. Il rumore cresceva tanto che si sentiva il battere dei piedi sui sanpietrini; diminuiva invece il numero delle parole che ci scambiavamo, eravamo quasi in silenzio. Poi il rumore si era come trasformato: scoppi, botti. Paura, ancora paura. No, in realtà erano i colpi dati sul metallo delle serrande con bastoni e sbarre da quelli che passavano.
Sembrava guerra ma io non l’avevo vissuta, l’avevo solo vista nei film, che ne sapevo.
Forse me la stava portando il vento della paura insieme alla bocca secca ed al mal di stomaco. Dovevo però far stare tranquillo il piccolo, non doveva sentirsi abbandonato proprio in quel momento, proprio con tutti quei botti che rimbombavano nel negozio. Silenzio. Colpi finiti? No, dopo poco ricominciavano appena passava un altro gruppo. I passi sul selciato qualche volta erano pesanti, molto pesanti: scarponi? In compenso poche urla, meglio così.
Quando si è avvolti dal vento della paura anche i piccoli segni aiutano.
Respirare paura anestetizza, lascia la mente inerte, rallentata; quanto tempo era che eravamo chiusi lì, non lo sapevo, non ero in grado di valutarlo, la paura.
Siamo usciti che era notte ed il vento era calato, l’aria era ferma solo il piccolo piangeva.