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E’ rimasto dentro

Tempo di lettura: 3 minuti

Mi piacerebbe fare un rapido giro nei meandri di una memoria che, non solo da ora, sta perdendo qualche colpo, per andare alla ricerca di quelle piccole immagini leggermente sfocate ma assolutamente presenti che forse hanno avuto una certa importanza. Non sono certo che abbiano davvero gran valore ma mi piace crederlo. Provo ad andare avanti secondo una sequenza temporale, mi rende più agevole la descrizione.

Età 5/6 anni, sono per mano a mio padre che lavorava nel centro di calcolo di una grande azienda ed entro con lui in questo enorme locale situato al pian terreno di un edificio in pieno centro a Roma: rumore di fondo, via vai di persone indaffarate, molte con un camice bianco quasi da ospedale, tavoli ingombri di scatole di metallo piene di quelle che papà mi disse si chiamavano “schede perforate”, e grandi armadi al cui interno ruotavano a velocità differenti rotoli di un nastro scuro. Non sapevo dove guardare ed ero poco interessato ai colleghi di papà che si sperticavano in complimenti verso di me: che bel bambino!, certo somiglia tutto a tua moglie!, vieni tu e lascia a casa papà così qui funzionerà tutto meglio!.

Ero soprattutto affascinato da una grande macchina lunga come due volte il mio letto, piena di scatole affiancate e storte al cui interno cadevano con precisione e velocità assurde le famose schede perforate con un effetto da Luna Park e con un suono frusciante che incantava. Chiesi a mio padre come si chiamasse quello strano oggetto e lui mi rispose “la pioggia” ed in effetti il flusso di schede dal grande scatolone all’inizio della macchina verso le altre scatole in realtà messe in obliquo, faceva realmente venire in mente la pioggia. Che bello, rimasi a guardare quella scena per un po’ finche chiesi di nuovo: ma chi l’ha costruita? Mio padre mi rispose forse per semplificare: gli ingegneri.

Oggi nella memoria un po’ annebbiata quella parola risuona ancora precisa e definita; mio padre mancò molto presto quando ancora facevo le medie ma quando arrivò il momento di decidere cosa fare all’università chissà se la scelta di fare ingegneria sia stata o no condizionata da quella parola ma di certo era rimasta dentro.

Ormai molto più grande, 10/11 anni, avevo iniziato a fare il chierichetto presso i Padri Barnabiti di Roma a Monteverde Vecchio spinto dal sacro fuoco della passione… per il calcio. Infatti i chierichetti avevano a disposizione il campetto di calcio per molto più tempo dei normali iscritti all’oratorio e a quell’età ciò… valeva bene una Messa!!!

Il padre spirituale che ci seguiva era uno dei più importanti archeologi paleocristiani italiani e fondava la sua attività non solo sull’organizzazione dei servizi durante le celebrazioni ma ci faceva avvicinare a tutta una serie di aspetti della cultura cristiana con un approccio molto semplice e poco fideistico che indubbiamente qualche risultato lo otteneva. Una volta dedicò alcune brevi riunioni alla presentazione e spiegazione della Sindone utilizzando un approccio storico e scientifico molto elementare ed adatto ai ragazzini che aveva davanti. Fu un lampo, uno spunto di interesse che mi colpì senza un motivo preciso e che durò molto forte giusto il tempo di quelle brevi riunioni. Poi il sacro fuoco del pallone riprese il sopravvento. Un giorno dopo tanti anni vedo la locandina di un corso sulla Sindone e immediatamente tornano alla mente alcune immagini di quelle riunioni, risento quello stimolo che allora era durato qualche giorno e quindi, dopo oltre una sessantina di anni, mi ritrovo ad aver frequentato un corso universitario sulla Sindone destinato ai docenti di religione che mi ha talmente appassionato da innescare altri approfondimenti, conferenze ed articoli al riguardo e la origine di tutto ciò forse era ciò che era rimasto dentro.

Non so se sia vero quello che ho appena detto riguardo a questi spot di ricordi annebbiati dall’età ma di certo mi piace pensare che la nostra vita si appoggi anche su questi piccoli dettagli nascosti nelle pieghe ormai un po’ irrigidite della memoria; magari invece è solo il desiderio di ricostruire legami col proprio passato che attiva questi piccoli ricordi. Di certo uno specialista potrebbe essere molto chiaro circa la natura di questo fenomeno, limitandone forse il valore ma nonostante tutto sono contento di pensare che valga solo perché ci è rimasto dentro.

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