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I tappeti

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Lo avevano avvertito di non toccare la maniglia dell’auto lasciata al parcheggio dell’aeroporto di Riad, era meglio aprire la portiera con quello strano straccetto che pendeva dalla specchietto retrovisore esterno. Avevano ragione: senza straccetto e con quelle temperature ci avrebbe lasciato brandelli di pelle.

Anni 90’, città grande ma molto più seriosa di Jeddah, sicuramente la componente islamica ortodossa era più incombente qui che nell’altra dove le infiltrazioni occidentali erano già allora più frequenti. Non è un caso che a Riad il muezzin di una moschea, con atteggiamento autoritario e bastone in mano, lo abbia minacciato vedendolo passeggiare da turista nelle viuzze intorno al tempio dopo che lui aveva fatto la chiamata per la preghiera.

Per fortuna il mercato era come tutti i mercati del mondo specie quelli orientali: colore, confusione, profumi, grida, ressa; un universo a sé quando ancora l’effetto turismo non aveva del tutto falsato la realtà; c’erano tutti i tipi di merce in vendita: alimentari, spezie, tessuti, stoviglie, ninnoli e tappeti. Si i tappeti, centinaia, di ogni colore, con disegni strepitosi, alcuni dei quali sembravano il frutto di fantasie oniriche magari rinforzate da una buona fumata d’oppio. I venditori si affannavano a mostrare ai passanti i loro pezzi pregiati che arrivavano da tutti gli angoli d’oriente: Buckhara, Chelabard, Doshmalty, Tabriz, Isfahan, Kars, Kahan. Una parte dei loro chioschi era naturalmente occupata da decine di Quibla destinate alle preghiere rituali. Era sorprendente vedere come due inservienti, al comando vocale del venditore, riuscivano in perfetta sincronia e con una rapidità sorprendente, a sfilare da una pila di decine di tappeti proprio quell’Isfahan di cui il venditore stava esaltando il numero dei nodi, la perfezione del disegni, la brillantezza dei colori: un vero spot.

Era quello l’obiettivo: doveva comprare tre tappeti, due per amici ed uno per sé. Per questo si era fatto accompagnare dal collega locale al mercato. Aveva bisogno di un po’ di aiuto: lingua, abitudini, comportamenti troppo diversi ma alla fine era pur sempre un mercato. Il primo giorno nel pomeriggio fu un’azione guardinga destinata solo a conoscersi con l’individuazione dei primi due tappeti di interesse. Il venditore era grande di età ma perfetto nell’abito candido, candido come la folta e ricca barba ben curata, la voce era un po’ roca forse per il fumo ma i suoi denti non avevano quel colore giallastro che capitava spesso di vedere. Si muoveva con calma e semplicità mentre i suoi attendenti cercavano i tappeti da mostrare. Sul terzo c’era un’opzione ma le dimensioni erano eccessive. Fine, saluti, ripasso domani.

Il giorno dopo, tardi al mattino saluti, sorrisi, anche una pacca sulla spalla e lunga ricerca delle corrette dimensioni del terzo tappeto; schermaglia sui prezzi. No, no, allora vado via. Aspetta, oggi fa caldo, resta ancora qui all’ombra nel chiosco. Cifre che volano, un po’ in arabo col collega, qualche volta direttamente in inglese, sembravano le offerte in borsa che si vedevano nei film ma erano decisamente lontane. Poi arriva l’ora di rientrare al lavoro. Devo andare. Dai torna domani nel pomeriggio, farà meno caldo e di certo mi verrai incontro: io ti aspetto.

In realtà il budget era stato già raggiunto ma il gusto della trattativa aveva preso entrambe i soggetti: venditore e acquirente ed in realtà nessuno di loro voleva rinunciarvi.

Arriva il pomeriggio del terzo giorno e di nuovo saluti, sorrisi ma stavolta c’è meno frenesia, le offerte e le controfferte sono più diradate ed inframmezzate da facce teatrali, frasi strappalacrime sulle proprie famiglie su cui si aprono sorrisi di compiaciuta interpretazione. Ormai il collega locale quasi non deve più intervenire tanto si è sviluppato il feeling tra i due. Il sole comincia a calare e già qualche banco del mercato comincia a riordinare quando, come in una sceneggiatura professionale, volano le ultime cifre: ok, affare fatto e la stretta di mano.

I due sono soddisfatti e si guardano sorridendo mentre il cliente decide di avviarsi al rientro ma l’altro non vuole, vorrebbe invitarlo a casa sua per bere insieme un tè e festeggiare l’affare; si, è veramente contento e onorato per la trattativa e per il comportamento del cliente. Casa sua è lì dietro e vanno insieme e si siedono nel patio e la signora porta il tè bianco di cardamomo. Lo sorseggiano insieme con grandi sorrisi e con qualche frase tradotta dal collega locale da cui risulta evidente come la trattativa di tre giorni nel rispetto reciproco, per quel venditore di tappeti sia valsa umanamente molto più del valore economico della vendita.

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