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L’abbraccio

Tempo di lettura: 3 minuti

La mattina Lucio si svegliò un pò prima del solito per andare alla riunione più noiosa che potesse attenderlo; passando davanti alla stanza del figlio piccolo, si fa per dire ormai Massimo aveva ormai quasi 22 anni, buttò un occhio per vedere se fosse a letto. Si perché era molto difficile vederlo andare a letto; si sa gli artisti vivono di notte e Massimo era un artista o meglio cercava di avviarsi ad esserlo. In quanto tale, la sera usciva verso le undici tra i sospiri e le raccomandazioni della madre, fatte a mezza bocca ma alle quali lei non riusciva a rinunciare. Però notava che Massimo, a differenza di molti suoi coetanei, salutava i genitori prima di uscire e diceva dove sarebbe andato, più o meno: il problema restava però l’ora presunta del rientro: le due, le tre o le quattro o chissà.

Si c’era, era ancora a letto, dormiva.

Lucio fece una doccia, aggiustò la barba e si mise a tavola per la colazione seduti con la moglie e con i figli, se svegli; era una bella abitudine di famiglia che erano riusciti a costruire e che avevano allargato ai figli. Solito scambio di informazioni sul programma della giornata, qualche memo sulle cose da fare e poi via nel traffico del mattino. Quella mattinata era ancora abbastanza fresca ed il cielo di Roma era limpido e appena uscì vide il solito merlo nero col becco giallo che bighellonava nel giardino di casa con aria strafottente quasi a dire: “Che vuoi? gira a largo, ho da fare nel mio giardino. “, con un mezzo sorriso tra le labbra Lucio lo lasciò in pace e proseguì tranquillo. Era tranquillo realmente, forse in pace con se stesso perché la sera prima aveva fatto una lunga e difficile chiacchierata, forse una discussione, magari un semplice scambio di idee con il figlio; in realtà non era ancora riuscito a capirlo ma era sereno perché Massimo aveva parlato con loro per oltre un’ora con chiarezza, semplicità, onestà intellettuale e soprattutto con la disponibilità ad ascoltare e Lucio trovava ormai questa qualità sempre più raramente tra le persone. Splendido ritrovarla in un figlio.

“Ma allora Cri può venire a dormire stasera?”, ancora una telefonata, fatta davanti a Cristina, con la tecnica del ti metto alle strette con poco tempo per rispondere e faccio la domanda critica in presenza della persona coinvolta per aumentare la pressione. Quante volte la madre aveva detto a Massimo che non voleva affrontare certi temi per telefono e soprattutto alla presenza della persona coinvolta: parlare al muro era molto più gratificante. Si, era la solita storia del fatto che i ragazzi non hanno più certe remore, o sarebbe meglio dire vincoli, per fare cose che noi non potevamo fare, anche se avremmo voluto. Che dico, pensò la madre ma la risposta giusta non emerse dal turbinio interno alla sua testa: disagio, insofferenza, preoccupazione: no, perché vanno in vacanza insieme, allora cosa.

Certamente disagio a trovarsi di fronte al mattino in camicia da notte con qualcuno che lei non aveva potuto essere da ragazza: come puoi pensare di andare a dormire a casa di un ragazzo. Forse insofferenza per dover accettare qualche, seppur piccola limitazione alla propria libertà casalinga oppure un lieve rammarico per l’autonomia “da grande” di cui faceva sfoggio Massimo ed anche qui il ricordo per cui una simile domanda non era inclusa nel suo vocabolario da ragazza. Probabilmente nessuna di queste o forse tutte queste insieme. “Vabbè fai come vuoi !”, mica una splendida risposta, tanto, pensò, ne dovremo riparlare, eccome se ne dovremo riparlare.

Il problema era che proprio quando se ne riparlava, lei si trovava in grande difficoltà dialettica col figlio che la stringeva in una sequenza pressante di passi logici da cui lei non riusciva a svincolarsi per cercare di seguire il filo logico delle proprie idee; questa storia, vecchia, portava a dare l’impressione che le sue posizioni fossero sempre più deboli di quelle di Massimo o addirittura fossero latitanti. Così era accaduto ieri sera ed allora toccava a Lucio risalire la china cercando di riportare la discussione su binari meno rigidi, contro il razionalismo di Massimo peraltro venato da un po’ di egoismo generazionale, e contemporaneamente di ridare valore alle sensazioni personali che erano il frutto della esperienza di vita della madre.

Era una fatica improba ma a cui Lucio si offriva con grande calma e pazienza cercando di far passare nella mente di Massimo la obbiettiva validità di alcuni aspetti umani e personali e provando a far calare sua moglie in una realtà comportamentale che, seppure lontanissima dalle loro esperienze giovanili, comunque esisteva oggi.

Quanto tempo fosse necessario per questa fase di riallineamento e di reciproca comprensione nessuno lo sapeva mai; quasi sempre però si arrivava all’abbraccio tra Massimo e la mamma, talvolta anche con gli occhi lucidi. Quanto sarebbe durato il nuovo equilibrio? L’importante era continuare a rinnovare il fortissimo legame fra loro.

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