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Quattro storie di vita e di morte

Tempo di lettura: 3 minuti

Malata di sclerosi multipla dal 2007, persa completamente ogni autonomia, tetraplegica, molto sofferente, in luglio l’abbiamo vista ai TG arrabbiata perché al Pirellone di Milano non riusciva ad ottenere risposta dalle commissioni competenti alla sua domanda di accesso alle pratiche di fine vita, nonostante l’appoggio delle associazioni come “Liberi Subito” e una ampia raccolta di firme nella società civile. Come la sua, tantissime storie in tutta Italia…

La Mostra del Cinema di Venezia si è conclusa la settimana scorsa con l’assegnazione del Leone d’oro a Pedro Almodovar per il suo The Room Next Door (La stanza accanto): un bellissimo film che tratta di amicizia, dolore e morte. Il grande regista, affiancato dalle bravissime interpreti della storia, ha dichiarato «Il film parla fondamentalmente di una donna, Tilda Swinton, che è padrona della sua vita quando è in vita ma da viva è anche padrona della sua morte e credo che questo sia un diritto umano fondamentale. Per questo l’eutanasia deve essere affrontata dal punto di vista umano, non da quello politico, ma è necessario che i governi articolino una legge che permetta questa transizione».

La terza storia è quella della politica italiana che sul tema sembra restare sorda, cieca e inadempiente, nonostante le sollecitazioni esplicite e a scadenza termini (due anni!) della Corte Costituzionale del 2019. Da un lato del Parlamento l’ipocrisia, dall’altro la pavidità con il più consolidato degli esiti: il nulla di fatto. Con questo si va avanti con mani pietose che somministrano dosi di cosiddetta “sedazione profonda” che altro non è che eutanasia, appunto – pavida e ipocrita – sotto mentite spoglie.

L’ultima storia è quella di fantasia che ho scritto per altro giornale nel febbraio 2022, in prossimità, allora, dell’ultimo fallimento parlamentare nel percorso delle norme di fine vita: ad oggi nulla è cambiato.

LA TENERA LUCE DELLA MORTE
Francesca lascia la sua auto alla fine della strada bianca, all’inizio della spiaggia deserta.
Infila le chiavi sopra l’antina parasole.
Si toglie i sandali e li lascia accanto alla pedaliera, poi a piedi nudi, indossando solo un lungo vestito bianco di lino che le cade sul corpo longilineo, si incammina verso quello sciabordio lieve. Il profumo del sale arriva fino a lì come per invitare l’avvicinamento.

La luna è piena e risplende proprio al centro della scena di ponente; tramonterà immergendosi nell’orizzonte tra qualche ora e in quel momento si alzerà delicatamente anche la marea.
L’aveva pensata proprio così la scena, Francesca; la sorpresa è un profumo diffuso con il calore della notte estiva come di resina di pino, ginepro, rosmarino selvatico e chissà cos’altro.

In febbraio qualcuno ha detto che l’eutanasia non è una priorità per il Parlamento, eppure il successo della richiesta di referendum ha mostrato che dovrebbe esserlo.
L’altra ci ha spiegato che c’è il dovere alla vita non il diritto alla morte.
Quello di fresca presidenza ha invitato a non cercare il pelo nell’uovo, ma con tutti quegli ermellini in giro, i peli sono stati trovati e il referendum non c’è più.
Tutto bloccato, tutto immobile, tutto impossibile, come sempre lì tutti a baccagliare tra gli scranni del sesso degli angeli, poi la vita va avanti, come la morte.

Francesca ha ricevuto l’annuncio della sua morte al terzo fallimento delle terapie. Il medico è stato chiaro e quasi amorevole: «Signora, mi chiede di parlar chiaro e io lo faccio. Tra qualche mese perderà del tutto la sua cognizione, e poi, al massimo tra due anni, anche la vita».
Quello che ha spaventato Francesca non è stata la prima notizia e neppure la seconda, ma il tempo in mezzo tra le due.

L’amore della sua vita, Roberto, l’ha tradita con un incidente stradale che l’ha portato via cinque anni fa. Il figlio Matteo vive in America con una bella famiglia e due labrador in giardino.
A Natale Francesca gli ha detto chiaramente le sue intenzioni, ha dovuto farlo tre volte.
La prima volta lui, il figlio, paonazzo in volto, ha esclamato «Ma, sei fuori?», la seconda ha chinato la testa dicendo «Ma, sei sicura?» ascoltando in silenzio la risposta. La terza volta ha preso entrambe le mani della madre, le ha baciate sui palmi dove poi ha riposto il suo viso e tutte le sue lacrime.
Non ne hanno più parlato. Il giorno prima dell’Epifania Matteo e famiglia sono tornati in America.

Ora Francesca è quasi in prossimità del mare e le viene da sorridere in mezzo a quella stupenda poesia. Non c’è più il mondo, non c’è più la politica che pure ha appassionato la sua gioventù, non c’è proprio più la passione: solo la notte estiva, il silenzio, la luce della luna, i profumi della macchia alle spalle della spiaggia dove risuona il canto contemplativo dell’assiolo.

In altri tempi i capelli sarebbero stati sciolti lungo la schiena, ora invece la luce della luna scintilla sulla sommità del suo capo bellissimo, femminile, glabro, elegantissimo.

C’è solo Francesca con il mare. In pochi passi Francesca diventa il mare e nuotando placidamente verso la luna, diventa anche la libertà di essere quello che si è, così in vita come in morte.

E all’orizzonte Francesca scompare.
Scompare anche la luna.
E tutto diventa mare.

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