
Volevo comprare
Massimo andò in Cina per la prima volta negli anni 90 e già si cominciavano a sentire gli effetti della politica di Deng Xiaoping anche sull’apertura ai mercati esteri. Doveva acquistare una partita di presidi medico-sanitari da importare in Italia. Non era certo la prima trattativa ma il mercato cinese, la lingua, il paese, le abitudini, non lo lasciavano particolarmente tranquillo. Gli avevano prenotato l’albergo nel Ghizou dove si trovavano molte fabbriche di quel settore, ovviamente tutte pubbliche, e c’era anche una sede del ministero del Commercio.
Parlare, anche se marginalmente, dell’albergo prenotato significa entrare in uno scenario insospettato ma con spunti che forse si possono definire tragicomici: iniziamo dalla biancheria dell’ Hotel Del Popolo (5 stelle) dove trovare un pezzo di tessuto bianco e non giallastro era come cercare un ago in un pagliaio; i due tappeti avevano così tanti buchi da far invidia ad un colapasta; l’aspetto più sorprendente però erano le sputacchiere. Si, proprio quelle che da noi erano sparite negli anni 50/60, lì facevano bella mostra di sé tra le porte dei quattro ascensori al piano. La particolarità non era tanto legata alla loro presenza quanto all’uso che ne facevano i locali i quali cercavano di centrarle, spesso con successo, da cinque dieci metri andando verso l’ascensore incuranti del fatto che Massimo ed altri fossero lì in attesa della lucetta verde.
Quella mattina Massimo arrivò al Ministero accompagnato dalla guida che gli era stata assegnata al suo ingresso in Cina (in quel periodo si viaggiava all’interno solo se accompagnati). Con un po’ di fatica, poiché l’inglese dei cinesi era allora praticamente inesistente, riuscì a trovare l’ufficio dell’addetto che trattava gli articoli che lo interessavano. In fila, in attesa di essere ricevuti, c’erano con lui tedeschi, americani, francesi, tutti già un po’ seccati per le evidenti difficoltà di comunicazione con i ministeriali.
L’attesa fu lunga ma finalmente nel primo pomeriggio si aprì la porta sulla scrivania della segretaria Lu Chi che gli fece riempire un questionario in inglese per poi farlo entrare nell’ufficio del sig. Tchou Han. All’interno, con la solita faccia indecifrabile che li caratterizza, il sig. Han ricevette i sorrisi e le cortesi frasi di circostanza di Massimo senza alcuna espressione sul viso. La trattativa ebbe inizio lentamente, ben condotta da ambedue, con segnali di distensione ed irrigidimenti che si alternavano da entrambi i lati finché Tchou Han guardò l’orologio e disse ruvidamente a Massimo che l’orario di lavoro era terminato e che quindi avrebbero proseguito l’indomani. Massimo protestò vivacemente, alzò anche un po’ la voce per l’assurdità del comportamento ma il suo interlocutore , che stava preparando un memo per indicare i punti già concordati, non lo degnò di uno sguardo. Han siglò il documento, lo dette a Massimo insieme al suo biglietto da visita e lo congedò. Fuori dalla porta Lu Chi era in piedi in attesa di poter chiudere l’ufficio.
Massimo se ne andò cominciando a sbollire la rabbia che gli aveva acceso il volto. Nei corridoi era tutto un vociare degli acquirenti stranieri che avevano ricevuto trattamenti simili; specialmente tedeschi ed americani erano inviperiti ed il loro pesante linguaggio contro i ministeriali non era certo amichevole.
Massimo tornò nella sua dorata dimora e, continuando a tranquillizzarsi, riordinò i documenti in preparazione del prosieguo della trattativa al mattino successivo; era stato sgradevole ma non era la fine del mondo, sono le difficoltà tipiche di questo tipo di attività.
Ovviamente al mattino era il primo della lista e si presentò alla porta di Lu Chi che era già al suo posto. Solita faccia, se possibile ancora più inespressiva. Quando Massimo chiese di Tchou Han nessun muscolo del suo viso si mosse anzi disse che non c’era nessun Tchou Han al Ministero. Massimo rimase un attimo sbigottito e pensando di aver pronunciato male il nome del suo interlocutore, tirò fuori il biglietto da visita agitando il memo della sera prima e farfugliando che doveva entrare in quell’ufficio. Lei guardò il biglietto: nessun movimento, nessuna espressione, confermò che non c’era nessun Han. Massimo era costernato, non sapeva cosa fare allora alzò di nuovo la voce ma niente, non successe nulla.
Stava per sbattere la porta quando la segretaria si alzò ed entrò nella stanza di Tchou Han da cui uscì un attimo dopo facendo cenno a Massimo di accomodarsi; lui si fece avanti col memo in mano e con la faccia ancora tesa per la discussione precedente pronto ad assalire Han per quell’inutile sceneggiata. Seduto alla scrivania però non c’era Han ma un altro funzionario. La sorpresa crebbe quando costui prese il memo e lo stracciò sotto i suoi occhi. Han era stato rimosso, la trattativa ricominciava da capo poiché aveva superato i limiti a lui assegnati come risultava dal vecchio memo che aveva controfirmato. Di fatto Han non esisteva più, la sua segretaria non ne aveva mai sentito parlare.
Finalmente la trattativa si concluse e Massimo andò via dal Ministero decisamente sconcertato ma tutto sommato soddisfatto: voleva comprare e c’era riuscito.


