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Il falco e la lepre

Tempo di lettura: 3 minuti

C’era una volta un falco.
Aveva una veste marrone ricamata di grigio scuro e i suoi occhi erano del colore dell’ambra trafitta dal sole.
Vederlo cacciare era un’ esperienza unica.
Avvistata la preda, librava immobile in aria muovendo in modo sincopato solo le remiganti primarie in fondo alle sue ali, come fossero dita ansimanti sulla tastiera di un pianoforte.

Un falco che caccia è uno spettacolo senza eguali.
Vibra in silenzio pieno di spasmodica eccitazione per la vista della preda con enorme eleganza, sospeso in un attimo colmo di elettricità.
Poi di colpo, decide, si butta in picchiata verso il suolo che sembra risucchiarlo in un’invisibile corrente magnetica, e la preda è afferrata.
È sua.
Senza se e senza ma.
Un falco ha i colori della terra… spicca per contrasto cromatico nel cielo da cui osserva tutto ciò che si muove, e di colpo, i suoi colori tornano prepotentemente alla terra.
Perché la terra è cibo.
La terra è vita.

Un giorno d’estate, quando i campi erano arsi dal sole e sprigionavano calore come brace addormentata,
il falco notò con il suo sguardo da infallibile cecchino, un movimento furtivo tra delle sterpaglie secche e scricchiolanti.
Il suo volo si fece più circospetto e il vento caldo favoriva la sua ascensione silenziosa in cielo.
L’ aria calda proveniente dalla terra bruciata da quell’Agosto implacabile, lo spingeva sempre più in alto e i suoi occhi dovevano concentrarsi in modo incredibile per intuire ogni più piccolo e nascosto movimento.
Milioni di pensieri pugnalavano la sua mente.
Come ogni volta, un’immaginaria partita a scacchi prendeva forma.
Strategia.
Velocità.
Silenzio.
Doveva scappare anche alla sua ombra serpeggiante sul suolo.

Poi, la rivelazione.
Ecco la preda.
Una piccola lepre stava cercando riparo dalla calura tentando di raggiungere dei cespugli ombrosi vicino ad un cascinale ormai abbandonato, poco più in là.
Anche lei aveva i colori della terra.
Il movimento ritmico delle sue minute narici, le faceva fiutare i profumi di quell’oasi fresca e preziosa come l’oro… un buon riparo per attendere la notte.
Ma qualcosa la tratteneva dal muoversi.
Un sospetto.
Un senso misterioso e istintivo.
Tra lei e quel verde addormentato al riparo dal sole, correvano metri di visibilità e vulnerabilità molto pericolosi.
Il suo manto morbido era percorso da continue fascicolazioni di tensione.
Solo i suoi occhi scuri e lucidi spiccavano scintillando tra le rimanenze del grano ormai sacrificato alla trebbiatura.
Era stanca, intorpidita da quel caldo soffocante… una volpe, la notte precedente, l’ aveva rincorsa senza pace e lei le era sfuggita per miracolo.

All’improvviso, una nuvola densa e bianca oscurò il sole.
Il falco smise di disegnare la sua ombra…
Ora niente poteva smascherarlo.
“Ora o mai più” pensò.
Così, stringendo bruscamente le ali al corpo, picchiò su quelle due scintille nere che trasparivano dalle sterpaglie…
Quegli occhi avevano un battito.
Il ritmo di una vita.
Erano fame e cibo.
Eppure, in quel medesimo istante, la lepre usò tutte le sue forze per compiere un balzo talmente brusco e alto, da sembrare uno zampillo d’acqua acrobatico.
Per un attimo i corpi di preda e predatore si scambiarono dimensione e contrasto cromatico.
Il falco si trovò ad essere terra nella terra.
La lepre, terra che attraversa il cielo… come una molla impazzita, imprevedibile e imprevista.
Il falco toccò il suolo senza stringere niente di vivo tra i suoi artigli.
Solo steli di grano rinsecchito.
La sua preda ricaduta a terra dopo il gran salto, come una pallina impazzita di un flipper zigzagò’ a destra e manca, consumando le sue ultime forze.
Ormai era irrecuperabile.

“Che sciocco!” pensò il falco muovendosi goffamente tra le sterpaglie calde e taglienti.

“La tua voglia di vivere ti ha fatto raggiungere il cielo” strise innervosito e a gran voce il falco rivolgendosi alla lepre ormai lontana.
E la lepre, sottovoce, con l’umiltà di chi ha visto la morte vicina e ancora una volta può raccontarlo, bisbigliò: “pensa che ridicolo paradosso, scansare il cielo saltandoci dentro”.

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