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Camminando per New Orleans

Tempo di lettura: 6 minuti

Quasi quasi faccio due passi a piedi, New Orleans è una città americana che ti invoglia a farlo: è ampia, con le strade larghe con grandi marciapiedi, è tiepida, senza freddi venti ghiacciati; non è molto caotica, insomma si può fare.

Siamo alla vigilia del cambio di millennio e la nottata è stata lunga e divertente nel piccolo locale vicino a Bourbon Street, il vecchio rugoso al piano con l’altro vecchio alla tromba ed il giovane alla batteria, avevano sfogliato gli album del jazz classico e di una parte della musica soul più belli che avessi mai ascoltato. C’era un garbo compiaciuto nel proporre pezzi noti e meno noti senza strafare, senza le forzature tipiche delle jam session, si perché più di un piccolo show per i clienti quella era una session tra amici in un mare di fumo su una pedana di legno che non poteva dirsi certamente un palco ma che garantiva l’attenzione dei presenti. Ed infatti erano tutti molto attenti, tranne una coppietta di lato forse in viaggio di nozze in altro affaccendati, poiché il locale non risultava sulle guide turistiche commerciali e due dei tre sulla pedana erano piccole icone musicali locali. Ascolti, bevi, fumi anche se non vuoi, lo chiamano fumo passivo, ed il tempo trascorre tranquillo e quasi non ti accorgi dell’ora tanto sono rilassati loro tre mentre suonano.

Esco e mi avvio su Canal Street per raggiungere il boulevard dove passa il tram, il pomeriggio è avanzato e c’è una bella luce per la strada che, come al solito, brulica di americani e di turisti sia a livello strada che sulle balconate che sono divenute il marchio della città. La gente è allegra e colorata, i locali si stanno preparando all’assalto serale, i turisti cominciano a rientrare dalle faticose passeggiate sugli itinerari consigliati ma Bourbon Street non sarebbe famosa nel mondo se non ti riservasse sempre qualche sorpresa. Dopo due isolati, da una traversa sento arrivare una musica di trombe e tamburi ed anche qualche voce di donna. Prima appena distinguibile poi, avvicinandomi all’angolo, sempre più chiara e distinta: un funerale. Si un funerale che si avvia verso uno dei cimiteri di New Orleans, il Lafayette o forse il Saint James; gli abitanti sono molto orgogliosi dei loro cimiteri pieni di tombe monumentali, statue ma soprattutto di leggende in cui superstizione, colore, storie vere ed altro si mescolano per creare un interesse che ne ha fatto quasi un’attrazione.

Ancora più bello è però il corteo musicale che si snoda verso il cimitero: davanti i musicisti guidati dal Grand Marshall vestito di nero ma con tutta una serie di accessori colorati e con una tuba in testa che accentua il suo ruolo di leader del corteo, dietro ci sono i familiari e gli amici. Cantano tutti pezzi spiritual, gospel, jazz di intonazione triste intorno al feretro trainato su una carrozza con i cavalli addobbati di pennacchi. Colpisce il coinvolgimento della folla che si ferma e ammutolisce per rispetto al passaggio di un defunto anche se sconosciuto. Qualcuno si associa al canto e l’atmosfera ti coinvolge sempre più; talvolta il Grand Marshall si ferma ed in segno di rispetto si toglie il cappello, trascinandosi dietro in questo gesto anche molti degli astanti. In tutto questo la musica regna sovrana, discreta, triste ma presente e di ottima qualità. Quando torneranno dopo la sepoltura, la musica sarà diversa, più allegra perché il defunto ora è andato a stare meglio e tutti ne sono felici. Quanta differenza dai nostri cortei di macchine con i vetri tirati su, gli occhiali da sole sul naso e senza una parola.

Sono arrivato sul grande viale dove passa il tram verde scuro che voglio prendere per un pezzetto; eccolo che arriva, salgo e mi vado a sedere sulle vecchie panche di legno nella parte accanto al guidatore, che stavolta è una donna. Il viale è ampissimo con il tram al centro, le due vie per le auto, dei marciapiedi enormi ed i giardini davanti alle grandi case coloniali, proprio come nei film. I finestrini sono tutti aperti e l’aria passa gradevole in tutta la vettura che non è particolarmente affollata nelle due tre fermate che ho deciso di percorrere. Scendo davanti ad un grande edificio rosa pastello e bianco su tre piani con uno splendido colonnato caratterizzato da coppie di colonne bianche a sostegno del portico del corpo centrale e delle due ali che racchiudono un curatissimo giardino all’italiana. Sull’inferriata leggo che si tratta di una biblioteca ma dato che è chiusa, ho l’impressione che sia privata.

Mi avvio sul marciapiedi con l’idea di farmi una passeggiata rilassante ed infatti le condizioni ci sono tutte: il sole comincia a calare ed i colori assumono una colorazione più calda che si adatta bene ai colori pastello degli edifici, la temperatura è mite e quasi si sente l’odore del mare, non c’è molta gente in giro ed anche il traffico non è caotico. Passo davanti all’ingresso di un parco pubblico dove la fanno da padrone le palme e molti pattinano nei vialetti, poi mi si apre sulla destra una piazza su cui si affaccia la struttura di una università con i tipici mattoncini marroni: un bel via vai di ragazzi, molti dei quali in bici . Chi può abitare in questa enorme casa bianca che sembra fatta proprio come la Casa Bianca? Altissime colonne bianche, ingresso con arcate, facciata ricurva, dieci gradini per arrivare al portone e mi sembra anche di vedere una piccola cupola. Ci vive un attore? Non credo, troppo accessibile; non ci sono insegne quindi non è la sede di una istituzione, deve essere un’abitazione. Ho quasi voglia di salire i gradini e dare un’occhiata ma non credo che ci sia un campanello con il nome di chi ci abita. Allora butto l’occhio sul giardino, meglio dire sulla tenuta intorno, e vedo il giardiniere al lavoro sulle siepi; va bene la prenderò in affitto la prossima volta che vengo a New Orleans!

Bella questa casa bianca e lilla, è un po’ indietro rispetto alla strada, non è enorme e davanti al garage sul lato ci sono due macchine, è vero, solo ora mi rendo conto che sul viale non avevo visto nessuna macchina parcheggiata. In effetti era una sensazione particolare quella di una strada senza le due file di ferro colorato e sporco accostate ai marciapiedi. Altri dieci gradini per salire al portone di quest’altra casa bianca, più piccola della precedente ma qui sono sicuro che è un’abitazione: i signori sono seduti al tavolo nel patio a bere, tre, una signora grande, elegante con i capelli bianchi raccolti che parla con un’altra donna più giovane in pantaloni e con i capelli lunghi sciolti sulle spalle. Entrambe bevono da una tazza, forse tè. L’altro è un uomo di mezza età vestito sportivo che legge il giornale con davanti un bicchiere di una bevanda scura con ghiaccio: coke? Un quadretto forse un po’ stereotipato ma che torna perfettamente con lo stile della casa. Sto fermo qualche attimo a guardare, o meglio a curiosare, provo addirittura a cercare di sentire cosa si dicono le due donne ma lo stridore del passaggio del tram mi esorta a muovermi e a lasciar perdere.

Proseguo tanto ne incontrerò molte altre; sopra di me svolazzano un po’ di uccelli e sulla destra si apre un altro parco ma io proseguo il cammino. Ora incontro un po’ più di gente ma continuo ad osservare lo spettacolo di questi uccelli che si rincorrono e cantano senza tregua. Non sono abituato per la strada in città, questo spettacolo mi capita solo in campagna ed è sempre molto coinvolgente e divertente seguirli con lo sguardo, cercare di riconoscerli anche se in genere non ci riesco. Ora però la luce sta diminuendo, il sole è già quasi tramontato e loro si muovono in maniera ancora più rapida per gli ultimi tentativi di cacciare qualche insetto prima che la notte fermi tutto; la loro frenesia è del tutto diversa dalla nostra quando sta finendo la giornata, mi viene quasi da dire che la loro è comunque più rilassata.

Continuo a camminare e cerco di sbirciare nelle auto che passano, non sono aumentate di molto, per vedere chi c’è dentro, dove si ferma, come gesticola; è uno strano gioco che faccio, non solo io, con i miei figli per costruire strane storie pseudo reali ritagliate su queste persone viste per la prima ed ultima volta. Ne vengono fuori incastri originali con qualche riferimento autobiografico ma che un critico cinematografico ritroverebbe come citazioni di film noti. Qualche tipo strano c’è e ci si può lavorare, qualcuno sembra anche che abbia ricambiato la mia attenzione e che mi tenga d’occhio ma fortunatamente siamo abbastanza lontani. D’improvviso sento qualcosa addosso. Non è freddo o umidità, no, è sulla pelle. Non capisco, provo a non farci caso ma comincio a guardarmi intorno: case un po’ più ordinarie, ora c’è anche qualche negozio, un diner’s, più persone. Si, molte più persone, molte che mi guardano, anzi mi fissano, mi fissano. Non capisco, sono osservato io, ecco la sensazione!

Sono l’unico bianco che sta passeggiando in questo quartiere. Devo rientrare.

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