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I sette fronti di Israele e i paradossi di Trump

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I sette fronti di Israele. Secondo Netanyahu, ma anche secondo gli alti funzionari politici e militari, i fronti di guerra sono Iran, Gaza, Libano, Yemen, Siria, Iraq e Cisgiordania. Verrebbe da chiedersi: Israele è un Paese che combatte una guerra difensiva oppure combatte per l’espansione coloniale, per l’egemonia regionale e per il dominio militare guidato da profezie religiose? Qual è la verità dietro questa guerra?

L’attacco israeliano sull’ultimo fronte, l’Iran, si è svolto inaspettatamente, come un blitzkrieg (ricordando la Germania della seconda guerra mondiale) dopo che erano state annunciate le nozze del figlio di Netanyahu, Avner, per le quali il premier si era trasferito in una villa a Nord del Paese per i preparativi della cerimonia che avrebbe avuto centinaia di invitati. Ma era tutta una messa in scena: con l’annuncio di quell’evento si volevano ingannare gli iraniani perché non sospettassero l’esistenza dei preparativi dell’attacco. Il matrimonio è stato rinviato.

L’intelligence israeliana ha lavorato anche in questo caso: si è sempre distinta nel panorama mondiale per bravura e cinismo, per il suo livello di alta preparazione tecnologica, frutto di anni di innovazione, investimenti e una costante attenzione all’evoluzione delle minacce. Grazie a un mix di tecnologie avanzate, analisi sofisticate e un team altamente qualificato, Israele riesce a mantenere un vantaggio strategico fondamentale nello spionaggio, nella sicurezza nazionale e nella lotta contro il terrorismo. Ma è strano che l’intelligence non abbia funzionato per bloccare Hamas prima del pogrom del 7 ottobre o anni prima per evitare l’assassinio del premier laburista Rabin, fautore della pace con l’OLP.

L’attacco a Teheran con i bombardamenti mirati è il frutto di quella preparazione, come è avvenuto in Libano mesi fa e come avvenne nel 1981 quando aerei israeliani distrussero nell’Iraq di Saddam Hussein la centrale atomica di Osirak.

Durante questo ultimo “pezzo della guerra mondiale” (cito Papa Francesco) che ha portato distruzione e morte a Teheran e in parte dell’Iran, creando il panico nel governo e tra la popolazione, Netanyahu si è rivolto in lingua farsi agli iraniani affermando che l’attacco non era contro di loro, ma contro il regime autoritario e per eliminare il pericolo atomico. Insomma la guerra servirebbe per “portare la democrazia” nel Paese nemico.

Questo “generoso” intento di cambiare il regime, non è nuovo in Medio Oriente. Fu introdotto dagli americani con le sanguinose campagne in Iraq e Afghanistan che terminarono con una serie di fallimenti e alimentarono il terrorismo. E oggi paradossalmente Netanyahu lo vorrebbe risuscitare, dimenticando che lo Stato ebraico lo aveva attuato negli Anni ottanta in Libano appoggiando i falangisti durante la guerra civile, cacciando l’OLP col risultato che oggi in quel Paese comandano gli Hezbollah, come Hamas a Gaza inizialmente sovvenzionato dai governi israeliani.

Circa un anno fa il premier aveva fatto un discorso da “liberatore del grande popolo persiano”. Gli risposero quelle donne perseguitate dal regime che chiedevano libertà: «Nessun Paese straniero può cambiare l’Iran, tanto meno uno stato che commette crimini a Gaza, in Cisgiordania, in Libano».

Il conflitto tra Iran e Israele si inserisce in un contesto molto complesso e paradossale, dove figure come Putin e Trump cercano di agire come mediatori o “pianisti” per influenzare gli sviluppi a loro vantaggio. È come se ci fosse una partita a scacchi internazionale, con ogni attore che cerca di muovere le proprie pedine per ottenere un vantaggio strategico, spesso senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine. Questa dinamica rende ancora più difficile trovare una soluzione stabile, perché le grandi potenze spesso hanno interessi contrastanti e usano il conflitto come un campo di manovra per rafforzare la propria influenza nella regione. È un tragico gioco di equilibri, dove ogni mossa può avere ripercussioni imprevedibili.

Il sovrano dei paradossi è ormai Trump che appena eletto aveva proclamato di voler portare la pace in Ucraina e in Medio Oriente. Sulla prima promessa sappiamo come è andata a finire: il presidente Zelensky umiliato a Washington e l’aumento dei bombardamenti terroristici di Putin. Sulla seconda, dopo aver riaperto le trattative sul nucleare con l’Iran, le ha interrotte due giorni prima dell’attacco israeliano a Teheran; poi ha abbandonato il G7 un giorno prima della conclusione ufficiale, polemizzando con Macron che aveva giustificato la partenza di Trump spiegandola con l’urgenza di lavorare sul “cessate il fuoco” tra Israele e Iran.

La risposta di Trump è stata immediata: «Il presidente francese non ha idea del motivo per cui sono andato a Washington, ma di certo non ha nulla a che fare con un cessate il fuoco. È una questione molto più importante. Che lo faccia apposta o no, Emmanuel si sbaglia sempre. Restate sintonizzati!».

E infatti dopo una riunione col suo staff nella Situation room della Casa Bianca ha annunciato che gli USA sarebbero pronti a entrare in guerra contro l’Iran e ha lanciato un minaccioso ultimatum a Teheran: «Arrendetevi. Sappiamo dove si nasconde Khamenei, ma non lo uccideremo, per ora».

È incredibile, siamo alla follia. In pochi giorni dal ruolo di pacificatore è passato a quello di aggressore. Aveva lanciato minacce all’Europa, imposto i dazi a tutto il mondo per poi ritirarli e rimetterli per altre due volte; ha fatto arrestare violando la legge migliaia di “clandestini”; ha mandato la guardia nazionale e i marines contro i dimostranti in California; ha tolto i finanziamenti alle Università. C’era da aspettarsi un impeachment, come era accaduto a Nixon sull’affare Watergate poi costretto alle dimissioni, o a Clinton processato per una vicenda sessuale con una giovane stagista e poi “assolto” in extremis. Ma era un’altra America: quella di oggi è irriconoscibile, Trump può fare quello che vuole.

La risposta di Khamenei a Trump è stata immediata: «Non ci arrenderemo mai, la battaglia è solo all’inizio!». Nel frattempo la guerra continua: i bombardamenti israeliani su Teheran sono incessanti, la popolazione terrorizzata, abbandona la capitale dove il governo non ha predisposto misure di sicurezza. Non ci sono allarmi aerei, rifugi sicuri, le uniche informazioni le danno gli annunci in lingua farsi degli israeliani.

Il regime non sembra aver alcun interesse per le vite dei cittadini; Khamenei è fuggito, seguito dai capi delle forze armate, dai guardiani della rivoluzione, e dai membri del governo. Quanto sta accadendo a Teheran  ha molti punti in comune con la fuga da Roma dell’otto settembre del 1943, quando la capitale venne abbandonata ai tedeschi dal re, dai generali e dai vertici dello Stato.

Ma in Iran la popolazione non attende l’arrivo degli americani “liberatori”; non ne può più del regime degli ayatollah, della rivoluzione che ha portato miseria, oppressione e adesso la guerra. Non crede alla democrazia importata dall’estero. Teme che con la resa l’Iran possa diventare un campo di battaglia tra bande di terroristi come è accaduto in Iraq e in Libia.

Forse non avverrà: Netanyahu vuole eliminare il programma nucleare e non il regime perché si rende conto che una occupazione militare seppur con gli aiuti americani sarebbe impossibile. Il regime è molto solido, è appoggiato da centinaia di migliaia di individui nei servizi di sicurezza e altrettanti nella milizia dei Pasdaran. Molti altri nella cerchia ristretta del potere hanno tutto l’interesse a preservarlo e non esiste una forza armata interna organizzata che possa abbatterlo. Il premier israeliano preferisce colpire da lontano e aggiungere altre vittime innocenti alle migliaia che ha già fatto la sua guerra a Gaza e dintorni.

Certamente nessuno verserebbe una lacrima se il regime venisse rovesciato: a partire dalla rivoluzione di Khomeini, per quasi mezzo secolo, oltre a volere la scomparsa di Israele, ha sconvolto i già deboli equilibri politici e militari della regione e ha appoggiato e finanziato il terrorismo sparso nel mondo.

In questo tragico scenario è impossibile fare un confronto tra buoni e cattivi. L’unica certezza è che da quelle parti l’umanità e la pietà sono ormai scomparse insieme alle leggi di guerra.

P.S. Israele possiede da circa quaranta anni le atomiche, ma è un segreto, seppur di Pulcinella. Non ha aderito all’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) perciò evita i controlli. Però tutti lo sanno.

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