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Le “menti” tecnologiche trascurate dalla politica e dall’industria italiana

Tempo di lettura: 4 minuti

Il Rinascimento è il periodo di rinnovamento filosofico, artistico, scientifico e letterario, avvenuto in Italia tra il 400 e il 500 e indica il momento in cui, dopo l’epoca medievale, ritenuta un’età di barbarie e di oscurantismo, vennero alla luce l’umanità e la coscienza moderne.

I caratteri distintivi del Rinascimento furono l’amore, l’interesse per ogni manifestazione culturale e la consapevolezza della centralità e dell’importanza dell’uomo che con la sua intelligenza poteva creare e promuovere il proprio destino raggiungendo obiettivi fino ad allora impensabili.

Questo periodo fu molto importante per lo sviluppo di tecniche innovative e per l’uso di nuovi materiali, ma non fu un periodo privo di contraddizioni. Lo scontro tra scienza e religione, iniziato nel Medio evo, animò il dibattito scientifico almeno fino al processo a Galileo nel 1633, quindi ben oltre il Rinascimento, quando trovò un momento di sintesi, raggiungendo una sorta di armistizio con l’aristotelismo allora imperante, e fu posto un freno alla persecuzione degli scienziati.

Oggi, il secolo che stiamo vivendo si presta a parallelismi con le rivoluzioni del passato poiché la rivoluzione digitale somiglia alle rivoluzioni originate dalla scoperta del fuoco, della stampa e, soprattutto, alla rivoluzione industriale perché di questa ne possiede la stessa forza e potenzialità di cambiamento.

In sostanza la rivoluzione digitale è il risultato dei cambiamenti epocali della storia umana. Però, vivere nell’era della tecnologia digitale sta obbligando gli individui, le imprese, dalle più semplici alle più complesse, a ripensare e riadattare il proprio modo di vivere, il modo di fare business e il modo di relazionarsi con gli altri.

Le rivoluzioni sono battaglie di distruzione creativa che portano cambiamenti radicali del potere o della struttura organizzativa, introducendo nuovi processi, nuovi prodotti, nuove industrie, nuove infrastrutture e nuovi modi di trasporto di merci, persone, informazioni e fonti alternative di energia. Però la velocità con cui la tecnologia si evolve e rottama ciò che pensavamo immutabile crea anche ansia e rifiuto del cambiamento. Nell’individuo il rifiuto è dovuto al timore che, una volta avvenuto il cambiamento, per lui non ci sarà posto in azienda oppure che il suo ruolo nella società sarà pesantemente ridimensionato perché non sentendosi in grado di aggiornare le proprie competenze finirà per perdere il proprio peso contrattuale.

Per le aziende le resistenze possono nascere perché le nuove tecnologie modificano il loro modello di business e la proprietà o il management non sono pronti a ridisegnare dalla radice la loro governance e i loro processi interni. In Italia la resistenza al cambiamento è, forse, più marcata che altrove ed è alla base del fenomeno ormai tristemente noto come “fuga dei cervelli”.


Il sistema universitario italiano costituisce un enorme giacimento di conoscenza e competenze che, però, a fatica trova sfogo nel sistema industriale nazionale. Le forme consuete attraverso cui si tenta di sviluppare e introdurre le innovazioni, frutto di anni di studio in Facoltà, sono le start up o gli spin off: gruppi di professori e studenti che decidono di tentare la creazione di un’impresa con la missione di industrializzare un’idea sviluppata nei laboratori dell’università.

Queste forme embrionali d’impresa godono per un periodo di tempo del sostegno delle Università che, in cambio di una quota dei proventi della valorizzazione futura delle proprietà intellettuali, mette a disposizione i laboratori del campus e minimi sostegni economici per i neo laureati che danno vita allo spin off o alla start up.

Passati un paio d’anni, se l’idea non trova sbocco industriale, queste forme imprenditoriali si smembrano e il brevetto o scade perché non ci sono più risorse per mantenerlo attivo oppure viene ceduto a cifre appena sufficienti per ripagare il sostegno dell’Università. Inoltre gli stipendi offerti ai ricercatori/inventori dal sistema industriale nazionale sono tanto irrisori da rendere più che attraenti le proposte estere dove la propensione ad investire nell’innovazione e a valorizzare le competenze è tutt’uno con la ricerca della competitività del sistema paese.

L’approccio all’innovazione non vede l’Italia brillare nel contesto internazionale, ma il discorso porterebbe lontano e richiederebbe ben altre analisi, perché resistono rendite di posizione specialmente nel settore pubblico e nella politica che invece di modificare la propria visione del mondo, tanto a destra come a sinistra, rimane ancorata all’ortodossia ideologica, finendo troppo spesso per privilegiare le posizioni di potere invece che aprirsi al futuro per consentire al sistema paese di competere al meglio sui mercati internazionali.

Le ricadute della ricerca e delle innovazioni sul sistema produttivo scontano anche le scelte dei grandi gruppi industriali che una volta fatti investimenti su una tecnologia devono ricostruire l’investimento attraverso la vendita del prodotto industrializzato anche se ciò li porta a ignorare le innovazioni che permetterebbero migliori prestazioni, costi minori e maggior rispetto dell’ambiente.

A parziale giustificazione del loro operato va detto che ormai la velocità di produzione dell’innovazione è ben superiore alla capacità del sistema industriale di adottarla.

Sarebbe quindi fondamentale che la politica promuovesse le condizioni per rendere ben più fluido il percorso dall’idea al prodotto industrializzato, per esempio attraverso il rafforzamento della rete delle piccole e medie industrie dinamiche e innovative, dotate di capacità finanziaria, con progetti chiari di crescita, molto più agili e pronte a sviluppare le nuove tecnologie che, conseguentemente, valorizzerebbero le risorse intellettuali che come sappiamo in Italia esistono, ma non prosperano.

Sulla capacità della politica di comprendere il linguaggio dell’innovazione scientifica c’è pero da dubitare visto che tra i banchi del Parlamento e del Governo trovano posto le peggiori convinzioni antiscientifiche che danno ancora un senso all’esortazione Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”!

Copertina: Immagine creata dalla Lecchi Impianti

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