Arance e il miraggio
Ore 6 e 43: è proprio vero che invecchiando si dorme meno. Mentre mi preparo il salvifico caffè mi cade l’occhio sulla macchia di colore del vassoio stracolmo delle arance che mi sono arrivate ieri e mi parte un senso di gioia e subito dopo un ricordo di mio padre che mi racconta di come lui, ragazzo nato nelle campagne dell’Emilia degli anni venti, mangiava questo frutto: si tagliava un’arancia a metà, la si metteva al centro della tavola e ogni commensale pucciava con un pezzo di pane nel succoso frutto. Ieri sera ne ho mangiate tre: consumismo contro miseria? Bah: ricordi.
Questa notte ho, finalmente, finito il terzo libro della trilogia della Läckberg scritta a due mani con il mentalista Henrik Fexeus. È stata una impresa: 650 pagine in cui va avanti la strana storia di Mina e Vincent questa volta alle prese con delle ossa di cadaveri ritrovate nei cunicoli sotterranei della metropolitana di Stoccolma a cui si aggiunge il rapimento dell’ ex marito di Mina, la scomparsa di tutta la famiglia di Vincent e la minaccia di un attentato dinamitardo sotto il centro della città. Il tutto condito con le storie personali di tutti i personaggi secondari della storia.
Un po’ lunghetto, ma, superando le prime seicento pagine, a cui vanno aggiunte le altre circa mille trecento dei due libri precedenti, il finale è veramente, non solo imprevedibile, ma assolutamente pazzescamente inatteso.
Da leggere da parte di chi è malato di storie noir ben scritte anche se il dubbio di qualche Ghost Writer o di I.A., avanzato da qualche detrattore, aleggia.
Buona lettura… o buona spremuta di arance.