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“Io capitano”, la lunga marcia di due giovani per fuggire dalla miseria

Tempo di lettura: 3 minuti

È stata la storia di Fofana Amara a colpire il regista Matteo Garrone. Fofana un 15enne che ha portato in salvo 250 persone su un’imbarcazione partita dalla Libia. Giunto in Italia è stato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed è finito in carcere per sei mesi.

Il regista se lo è immaginato: un ragazzo disperato che porta a termine un’impresa epica. Ha guidato una barca senza averlo mai fatto e senza saper nuotare. Sul traguardo si è sentito all’altezza di quel compito, proprio come un capitano, come il responsabile della vita di tutti quelli che ha trasportato e portato in salvo.

La preparazione del film ispirato da questa vicenda, è stata lunga, è durata più di due anni. Garrone ha incontrato persone che hanno fatto il viaggio dall’Africa subsahariana a Lampedusa in tempi diversi. Ne è nato un racconto di cose in gran parte già sentite e macinate dalla cronaca, ma stavolta visto con gli occhi dei protagonisti.

Tutto comincia in Senegal: Seydou e il cugino Moussa, sedicenni, partono di nascosto dalle famiglie da Dakar. Vogliono raggiungere l’Europa e realizzare il sogno di diventare musicisti, avere successo e aiutare le famiglie. Sanno che il viaggio è pericoloso, ma la loro voglia di vivere, di riuscire li spinge ad andare. Il viaggio è duro, attraversano il deserto in parte su un pickup e in parte a piedi. Incontrano la morte ma scoprono che nel percorso non c’è neppure tempo per la pietà, piangere il morto significa, restare indietro, morire.
Quel che la realtà non permette lo fa la fantasia, così il regista crea una scena onirica in cui il giovane Seydou riesce a non perdere la sua sensibilità e, come in un quadro di Chagall, sembra portare con sé a mo’ di aquilone il corpo di una donna morta e ingiustamente abbandonata.

In Libia, come quasi tutti, i ragazzi faranno l’esperienza dei centri di detenzione, se non della prigione, delle torture e del lavoro da schiavi. Poi arriva il momento dell’ultimo tratto del viaggio: il Mediterraneo, è il tratto più ambito, molto pericoloso e costoso. I due cugini devono salire al più presto su una barca, uno di loro ha bisogno di cure mediche urgenti. I soldi non bastano per la traversata, ma Seydou può guidare la barca anche se privo di esperienza e incapace di nuotare.

La traversata non è semplice e il ragazzo si sente responsabile di tutti i passeggeri, ce la farà. Nella scena finale Seydou, vicino alla costa italiana e con un elicottero che segue la “sua” barca, riesce a riassumere gli stati d’animo del suo viaggio: ride, piange, è incredulo. Ce l’ha sorprendentemente fatta. Ha salvato tutti, non è più un ragazzo è diventato un uomo.

Con un film asciutto e non retorico Garrone è riuscito a raccontarci la parte del viaggio che precede la traversata del Mediterraneo, dai luoghi di partenza alla Libia, a “ribaltare la prospettiva”.
Quanto a Fofana, dopo il periodo detentivo, è riuscito a diventare skipper per persone disabili e poi per amore si è spostato a Liegi, in Belgio. Oggi lavora nella logistica e poiché il suo percorso di regolarizzazione non si è ancora concluso, non ha potuto essere alla mostra del Cinema di Venezia, spera di farcela per la cerimonia degli Oscar a cui Io capitano è candidato per l’Italia come miglior film straniero.

Due curiosità: Seydou Sarr, il protagonista, durante le riprese ha scoperto di essere affetto dalla stessa patologia della madre che lo avrebbe reso cieco, dopo il film in Italia si è operato ed è guarito. Io capitano è recitato in lingua wolof e in francese e per il pubblico italiano è sottotitolato.

Trailer del film: https://www.youtube.com/watch?v=idErmD0bA_M

Copertina: Seydou Sarr in un momento del film citato nel testo

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