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Sotto la cenere i diritti delle donne

Tempo di lettura: 3 minuti

Cenere come il cielo di Milano a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, la città operaia dove le fabbriche, con le loro ciminiere, coloravano il cielo di grigio.

Cenere è il titolo dell’ultimo romanzo scritto da Tiziana Ferrario. Il libro racconta anni di grande cambiamento sociale attraverso l’amicizia tra due ragazzine molto diverse: Mariuccia e Giovannina. La prima era figlia Ersilia Bronzini, emancipazionista e fondatrice dell’Unione Femminile, e del senatore socialista Luigi Majno; la seconda una piscinina, figlia di un’operaia vedova e poverissima. Le due si incontrano nella cucina di casa Majno, quando Giovannina, con i suoi scatoloni, va a consegnare gli abiti realizzati dalla sartoria in cui lavora.

Davanti a una fetta di torta la ragazzina scopre un altro mondo, parlando con Mariuccia o ascoltando le voci che provengono dal salotto in cui Ersilia discute con le sue compagne (Alessandrina Ravizza, Ada Negri, Bambina Venegoni, Linda Malnati, ecc.) su come aiutare le lavoratrici e le ragazze preda della tratta. La cucina di casa Majno diventa per Giovannina Lombardi il luogo della sua presa di coscienza e di formazione politica.

Il romanzo è documentatissimo, molti sono i personaggi storici presenti: Anna Kuliscioff ricordata anche per la sua Conferenza del 1890 su Il monopolio dell’uomo, in cui denuncia la disparità salariale tra lavoratrici e lavoratori e definisce la donna il primo animale domestico: Ersilia Majno con alcuni suoi scritti sui diritti e persino Eugenio Torelli Viollier, fondatore ed ex direttore del Corriere della Sera, che scrive all’intellettuale Colajanni una lettera in cui spiega perché ha lasciato il suo giornale.

La ragione? Non poteva scrivere liberamente come era accaduto nelle giornate dei moti per il pane del 1898 quando il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla, incurante dei numerosi morti e feriti.

Milano, come detto, era una città di fabbriche che con la meccanizzazione si avvalevano della manodopera meno costosa, le donne e i bambini. Si entrava al lavoro alle 5.30 e si usciva alle 20, se non si faceva il notturno e si lavorava spesso sette giorni su sette.

La vita delle lavoratrici era durissima: al lavoro in fabbrica si aggiungeva quello a casa, e per di più le donne non avevano diritti. Eppure, proprio in quegli anni, un nucleo di donne istruite della borghesia laica e solidale, come quelle citate sopra, si ponevano il problema di come ottenere i diritti per le donne e i bambini e crearono i primi “servizi sociali”.

Sono nate così la cucina dei poveri voluta da Alessandrina Ravizza (la “contessa del brodo”), l’ambulatorio di via Anfiteatro dove si curavano gratuitamente donne e bambini. Nell’ambulatorio lavorava Anna Kuliscioff, una delle maggiori esponenti del socialismo italiano e anche una delle prime laureate in medicina, per tutti la “dottora dei poveri”.

Sempre in quegli anni è nata l’Unione femminile per istruire e formare le giovani lavoratrici, tutelare i loro diritti insieme alla Camera del Lavoro, così come era sorta l’Umanitaria, anch’essa con lo scopo di elevare le classi disagiate attraverso l’istruzione e la formazione professionale. All’Umanitaria si devono i primi quartieri operai: case salubri, dotate di servizi e persino di un asilo montessoriano, una biblioteca e un teatro.

Negli anni a cavallo di quei secoli affondano le radici della Milano che conosciamo, per esempio quella della moda. Proprio allora Rosa Genoni teorizzò il “made in Italy” e fece della città un riferimento per la moda alternativo a Parigi. Rosa, una ex piscinina, divenuta, da autodidatta, stilista e docente trova posto nel romanzo della Ferrario.

Era anche una socialista che si batteva per i diritti, specie quello di voto delle donne. E proprio la sua sartoria fu la prima ad accogliere le rivendicazioni delle piscinine, dopo uno sciopero durato una decina di giorni.

Tornando all’amicizia tra Mariuccia e Giovannina, il loro dialogo e confronto fornisce al lettore uno spaccato sui loro due mondi: quello duro del lavoro e della vita del proletariato fatto di fatica, malattie contratte negli ambienti insalubri di lavoro e nelle case fredde e umide e quello della borghesia illuminata e socialmente impegnata.

Le due ragazze entrarono casualmente in contatto con Rita, una giovane cameriera, in cerca di lavoro, che si è trovata, con l’inganno, imprigionata in uno dei tanti bordelli di Brera. Forse un episodio simile a quello del romanzo, ha ispirato Mariuccia ad aprire un Asilo per le giovani vittime della tratta, le centinaia di ragazzine che arrivavano in città per un lavoro e si ritrovavano schiavizzate in case di appuntamento. Da notare che ai tempi lo Stato guadagnava sulla prostituzione, tra l’altro considerata quasi un servizio sociale per gli uomini.

È il 1902 quando Giovannina Lombardi, dopo qualche anno di frequentazione di casa Majno, guida con successo lo sciopero delle piscinine per il riconoscimento di alcuni diritti.

Quanto a Mariuccia, il suo sogno si è realizzato, purtroppo una difterite fulminante non le ha permesso di vederlo. Ancora oggi l’Asilo Mariuccia si prende cura di donne e bambini vittime di violenza.

Infine, il libro è un atto di amore dell’autrice per la sua città d’origine, una città unica in Italia e che deve il suo successo anche a quanto avvenuto negli anni raccontati: industrializzazione e, contemporaneamente, nascita di una coscienza sociale, dei diritti ed emancipazione delle donne. Sono passati poco più di cento anni e molte delle questioni sollevate da quelle donne straordinarie non hanno trovato una soluzione come il gender gap. Toccherà essere di nuovo straordinarie.

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