
Timori e speranze di un ironico rapper autistico
La vita da grandi è il primo film di Greta Scarano attualmente nelle sale cinematografiche. È tratto dal libro di Damiano e Margherita Tercon (i Terconauti) Mia sorella mi rompe le balle. Una storia di autismo normale.
Già dal titolo del libro capiamo che uno degli ingredienti di questo film è l’ironia.
La storia
Irene vive a Roma e col compagno sta per comprare casa, nel bel mezzo delle trattative viene chiamata dalla madre a Rimini per occuparsi del fratello maggiore Omar autistico. La madre, infatti, deve sottoporsi a esami medici, teme una malattia importante, e, accompagnata dal marito, si reca in un’altra città. Qualcuno, però, deve occuparsi di Omar che sebbene adulto, ha più di 40 anni, con un lavoro part time, guida l’automobile ma non è del tutto autonomo. Vicine di casa sono anche una nonna e una zia molto in là con gli anni, anche loro hanno bisogno di un’occhiata.
Irene, che se ne era andata lontano per essere libera, pensando a un futuro senza genitori vuole rendere autonomo il fratello e gli fa un corso accelerato su come diventare grandi (es. farsi il bagno). D’altra parte anche Omar non vuole in futuro essere affidato alla sorella, vuole uscire dalla campana di vetro che dovrebbe proteggerlo dai pericoli del mondo, desidera sposarsi (sa anche con chi, ma lo sa solo lui), fare tre figli e diventare un “gangster rapper autistico”. Così Irene lo incoraggia a tentare di salire sul palco di un talent per cantare e coronare il desiderio di esibirsi davanti a un pubblico più grande di quello del bar vicino.
La giovane, l’ottima Matilde De Angelis, attraverso il rapporto con Omar fatto di battibecchi, momenti di tenerezza o di imbarazzo, scopre altri lati di se stessa e rivede diversamente anche la sua vita a Roma.
La convivenza dopo anni di separazione arricchisce entrambi, li cambia e li rende capaci di fare scelte, anche sbagliate.
Nella narrazione trovano posto fughe notturne in bicicletta, canzoni cantate sul palco del bar da Fabri Fibra a Jannacci, anziane zie alle prese con Instagram, attacchi di panico via zoom, ecc.
Da sottolineare anche la bravura di Yuri Tuci, un attore autistico scovato in rete grazie al trailer del suo spettacolo Out is me.
La regista ha osato affrontare un tema su cui era facile cadere nella retorica o nel ricatto morale ed è riuscita ad evitarli ricorrendo all’ironia. A questo proposito sono irresistibili i pranzi con la nonna e la zia prima della partenza dei genitori, così come le scene al bar con gli amici di Omar.
Scarano, in una intervista, spiega che il suo intento è che il pubblico comprenda il punto di vista di Irene «destinata a fare la caregiver del fratello, che cresce con la missione di dover disturbare il meno possibile i genitori impegnati ad accudire il figlio con disabilità». E comprenda anche «il punto di vista di Omar: il suo modo di vedere il mondo e le difficoltà di vivere con una disabilità e con il continuo confronto con una sorella ‘normale’». Allo stesso tempo aggiunge: «Nel film viene affrontata la questione della disabilità, ma per me era fondamentale che non fagocitasse tutto il racconto, esattamente come per il protagonista, la cui disabilità è solo una delle tante caratteristiche che lo definiscono come persona».
Da spettatori diciamo che l’obiettivo è stato centrato: il film sa trovare i toni giusti per non cadere nella retorica (neppure quella dell’autismo nel cinema visto come genialità imbrigliata) e riesce a essere allo stesso tempo delicato ironico e profondo.
Trailer del film:
https://www.youtube.com/watch?v=ZQPSreIUCyY
