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Wenders e il lato poetico della vita

Tempo di lettura: 2 minuti

Perfect Day di Wim Wenders racconta la storia di Hirayama, un signore di mezza età che ogni giorno ripete le stesse cose.

Si sveglia, ripiega piumone e tatami, si lava i denti, regola i baffi, annaffia i suoi bonsai e indossa la sua tuta blu. Quindi, dopo aver comprato un caffè in lattina da un distributore automatico, va al lavoro con il suo van. Nel tragitto sente, su cassetta, canzoni rock degli anni ’60 e ’70 degli Animals, di Nina Simone, Van Morrison, Patty Smith, Velvet Underground e l’amato (da Wenders) Lou Reedil cui Perfect day dà il titolo al film.

Hirayama di professione pulisce le toilette pubbliche, lo fa con metodo e orgoglio. Tra parentesi sono toilette dalle architetture bellissime e raffinate, ogni gruppo con stile e ambientazione diversa, fantastiche quelle trasparenti i cui vetri si opacizzano una volta che si è entrati.

A pranzo si siede sempre sulla stessa panchina del parco, mangia un sandwich e, soprattutto, osserva gli alberi e fotografa, con una macchina analogica, i raggi di luce che filtrano tra rami e foglie. Si tratta del komorebi, ovvero l’arte di cogliere l’intensità della luce filtrata nella sua instabilità, di cogliere la completezza del tutto in una immagine.

A fine giornata Hirayama si lava in un bagno pubblico e raggiunge una tavola calda dove consuma ogni giorno la stessa cena. Unica variante: nei giorni di riposo porta la tuta da lavoro in lavanderia, un rullino di foto a sviluppare e ne compra un altro. Frequenta anche una libreria dell’usato. La sera a letto legge Faulkner e Patricia Highsmith. La sua stanza è zeppa di libri e audio cassette.

Hirayama non è quell’uomo semplice che vorrebbe farci credere. Parla pochissimo, in compenso ascolta e guarda attentamente, gioisce di piccole cose come il Tris che gioca con uno sconosciuto su foglietti lasciati seminascosti in una toilette.

Forse Hirayama con i suoi riti quotidiani sana ferite che vengono da lontano, il suo mondo originario era un altro e lo capiamo quando incontra una nipote. «Il mondo è fatto da tanti mondi alcuni sono collegati, altri no». Lui ha rotto i collegamenti con la sua famiglia, ha fatto la scelta di vivere di musica, di libri, di piante, di piccole cose. La sua è un’esistenza minima essenziale come quella che si trova nei film di Ozu, un regista tanto amato da Wenders a cui aveva dedicato il docufilm Tokyo-ga.

Nel film sembra non accadere nulla, solo ripetitività dei gesti e delle situazioni eppure accade la vita, addirittura in modo poetico. C’è persino spazio per lo stupore. Nella storia le scarse parole acquistano spessore e alle immagini, anche quelle in bianco e nero dei sogni, Wenders affida il compito di avvicinarsi all’essenza della vita senza ricorrere a teorie e tecnologie.

La scommessa del regista è vinta e Perfect Day è forse il suo miglior film, una vera meraviglia.

Copertina: un frame del film
Trailer originale del film: https://www.youtube.com/watch?v=Ko31h2EU5Mo

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