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A Camaldoli le basi per un’Italia migliore

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18-24 Luglio 1943: mentre su San Lorenzo cadevano le bombe degli alleati (19 luglio) e alla vigilia del Gran Consiglio del fascismo che con l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi segnò la fine del regime (25 luglio), una trentina di giovani intellettuali di area cattolica si riuniva nella quiete del Monastero di Camaldoli, per disegnare una nuova architettura economica e sociale necessaria alla ricostruzione e allo sviluppo del nostro Paese. La discussione che avvenne in quelle difficili contingenze storiche, gettò le basi per un documento, il Codice di Camaldoli, completato successivamente e pubblicato alla vigilia della Liberazione, che divenne fonte centrale di ispirazione per la Costituzione del nostro Paese. Tra gli estensori di quel documento, Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Paolo Emilio Taviani.

Colpisce rileggere oggi quel documento, dopo 80 anni, almeno per due ragioni: per la capacità di visione mostrata da quel gruppo di intellettuali (di età compresa tra i 25 e i 40 anni) e, dall’altro, per la rilevanza che quel progetto, incompiuto, può avere ancora oggi. Bene comune, inteso come ‘buona vita umana per la moltitudine’, e giustizia sociale sono i due principi che ispirano l’azione economica dell’intero documento. Alla realizzazione del bene comune devono essere orientate le azioni pubbliche e le energie dei singoli individui e delle comunità, mentre nella giustizia sociale si sostanzia il principio di un’effettiva eguaglianza dei diritti e delle opportunità in campo economico.

Lasciandosi guidare da questi due principi, il Codice delinea in modo piuttosto preciso il modo in cui le attività di produzione e di scambio devono essere regolate, nella ricerca di un equilibrio tra proprietà privata e collettiva, tra capitale e lavoro, tra interessi delle imprese e tutela dei lavoratori, tra produzione e consumo. L’intento è quello di delineare un modello di sviluppo più umano e più giusto, in grado di coniugare finalità e funzionamento dell’economia di mercato, regolamentata e integrata laddove necessario dall’intervento pubblico, con una sensibilità sociale e un impegno di solidarietà richiesto a tutta la comunità, ma certamente in misura maggiore a chi detiene maggior potere e maggior responsabilità.

Vi era anche la ricerca di un equilibrio tra iniziativa privata, da sostenere e tutelare laddove l’interesse privato si coniughi con la finalità sociale, e nuove forme di intervento pubblico nell’economia finalizzate alla realizzazione del bene comune attraverso forme di regolamentazione del mercato nella direzione della libera concorrenza e di attività industriali da indirizzare ai fini di utilità pubblica.

Interessante anche la descrizione della funzione che lo Stato era chiamato a svolgere attraverso ‘l’attività diretta alla raccolta ed alla distribuzione di mezzi economici tra i vari impieghi pubblici’. Attività che deve fondarsi su principi di uguaglianza e di generalità, garantendo un’oculata, onesta e trasparente amministrazione di queste risorse ispirata dal ‘principio fondamentale che il denaro pubblico è inviolabile’ e ‘chi disperde, male amministra o si appropria di denaro pubblico pecca contro la giustizia’.

Accanto alla necessità di acquisire le risorse necessarie a sostenere l’attività economica pubblica, il Codice richiama espressamente anche la finalità redistributiva dello Stato e il principio di progressività della tassazione al fine di correggere e limitare ‘ingiustificate disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza ed eccessive accumulazioni di beni’.

Vi è anche un chiaro richiamo al dovere tributario di ciascuno, dovere non solo giuridico ma morale. L’ultima frase di questa sezione merita una completa citazione: ‘La legge non deve però, nell’ordinamento del tributo e soprattutto nella fissazione delle aliquote, essere ispirata al pensiero che le evasioni sono inevitabili ma deve stabilire aliquote giuste e provvedere ad accertamenti regolari. In caso contrario l’ipocrisia del legislatore giustifica l’evasione e l’inadempienza del contribuente e mette in pericolo l’ordinata disciplina del tributo, che viene sopportato in misura diversa dai contribuenti onesti o timidi e da contribuenti scaltri o poco coscienziosi. Le sperequazioni che nascono in tal modo tra contribuente e contribuente inficiano nella sua applicazione qualsiasi piano, per quanto ben congegnato, di distribuzione delle imposte’. Aveva visione e uno sguardo lungo quel gruppo di intellettuali.

Copertina: foto Sacro Eremo Comunità di Camaldoli (camaldoli.it)

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