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Berlusconi santificato tra servilismo degli amici e pietas degli avversari

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Sulla morte di Silvio Berlusconi si sono consumate tantissime parole, forse troppe, ma tra le migliaia risalta più di tutte la frase a lui rivolta, “ha segnato la storia d’Italia”. A quella frase nessuno ha voluto aggiungere le parole “bene” o “male” per darne un giudizio più chiaro e sincero.

Molti giornalisti che sono stati sempre critici nei suoi confronti, da Massimo Giannini a Massimo Gramellini, hanno preferito ricordare i momenti di quando lo hanno incontrato, gli hanno parlato: il primo ne ha sottolineato la simpatia e le cravatte che gli ha regalato; l’altro lo ha descritto “cumenda simpatico e spietato, generoso e megalomane”. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte. Nei giudizi dominano il servilismo degli “amici” e la pietas degli avversari.

Pier Luigi Bersani, in passato suo grande avversario politico, ha voluto sottolinearne l’empatia nel rapporto con gli strati popolari. Ma ha anche aggiunto che “essendo un liberale immaginario, non lascia una eredità liberale ma una destra-destra.” Un po’ di sincerità non fa male. Marco Travaglio nell’agiografia berlusconiana pubblicata sul Fatto, dichiarandosi dispiaciuto per la morte di un essere umano, ne ha ricordato con obbiettività tutto il percorso politico che ha provocato gravi danni all’Italia.

Un giudizio che rompe le banalità è quello di Dacia Maraini: “Il berlusconismo è la più grande catastrofe culturale del nostro tempo. Forse anche peggio del fascismo, perché più subdolo e sotterraneo, perché seduttivo e apparentemente vincente. Il berlusconismo ha introdotto la cultura di mercato, quella in cui tutto si compra e si vende, dai senatori alle minorenni”.

Andando all’estero, un commento impietoso proviene dal giornale inglese Evening Standard che titola “Morto il premier del bunga-bunga”. Proprio quelle due parole tanto usate all’estero dai tassisti, dai facchini d’albergo, e anche da colleghi giornalisti: “Italiano? Berlusconi bunga-bunga”. Da “ammazzarli!”. Non perché offendevano il premier, ma perché ai soliti luoghi comuni sull’Italia ne aggiungevano un altro. All’estero il Cavaliere era considerato una macchietta, “tipico personaggio italiano”.

Non si può dimenticare l’episodio verificatosi durante un incontro tra la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, quando alla conferenza stampa un giornalista fece una domanda su Berlusconi, allora premier, loro due si guardarono e si scambiarono sorrisi ironici. Ecco a che livello era scesa l’Italia berlusconiana. Qualche mese dopo il Cavaliere fu costretto a dimettersi e a cedere il governo a Mario Monti perché il nostro Paese era vicino alla bancarotta.

La storia di Berlusconi è ormai ben nota e dopo la sua santificazione di questi giorni a opera dei giornali di destra, le sue televisioni e la RAI, subito adeguatasi, viene da domandarsi come mai questo personaggio è salito alla ribalta e vi è rimasto per più di 30 anni dominando le scene quasi sempre da protagonista.
Per avere una risposta bisogna tornare indietro alla fine degli Anni ottanta quando il Cavaliere da imprenditore edile di successo divenne – con l’aiuto di Craxi capo del governo – proprietario di reti televisive private che in breve tempo ottennero il gradimento di una buona parte degli italiani.

Bisogna anche ritornare all’Italia di quei tempi le cui istituzioni correvano verso il precipizio. Furono gli anni di “mani pulite” con la frantumazione dei partiti politici tradizionali. Scomparvero la DC, il PSI, i loro piccoli alleati repubblicani, socialdemocratici e liberali; il PCI sbandato in seguito alla fine vergognosa dell’URSS e non in grado di trovare un leader al livello del compianto Berlinguer.

Il Paese attraversava uno dei periodi peggiori del suo percorso democratico. Il generale Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino assassinati; la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta infiltrate nell’economia e nelle istituzioni grazie a un mondo politico compiacente.
L’Italia aveva bisogno di rinascere, come aveva fatto con la ricostruzione del dopoguerra; aveva bisogno di un nuovo “boom” e non solo economico, ma anche sociale che avrebbe dovuto ricompattare un popolo privato di una identità politica e dei suoi principi guida. La sinistra che avrebbe dovuto essere lo sprone del rinnovamento, era rimasta invece immobile.

Il terreno era pronto ad ospitare l’uomo della provvidenza, quello che secondo l’immaginario collettivo popolare di allora avrebbe dovuto “rimettere tutto a posto”. Ed è arrivato Berlusconi, ormai noto per i suoi successi imprenditoriali il quale nel gennaio del 1994 fonda Forza Italia, il suo partito personale. Si presenta al pubblico degli elettori come paladino della triade Dio, patria e famiglia e dell’anticomunismo, un ”nemico” già scomparso da tempo. Da imprenditore si era trasformato in politico nel tentativo di risanare Mediaset in forte crisi finanziaria.

Si presenta alle elezioni nella coalizione del Polo delle libertà, formata da Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale, CCD di Pier Ferdinando Casini e le vince battendo clamorosamente i progressisti dell’ex PCI diventato PDS e degli alleati di sinistra. Di fronte a questa vittoria, l’intellighenzia italiana dei giornalisti, intellettuali, vecchi leader politici progressisti, rimane allibita. Non avrebbero scommesso una lira sulla vittoria di Berlusconi, che veniva sbeffeggiato durante la campagna elettorale, e invece gli elettori avevano scelto proprio l’uomo della provvidenza che “avrebbe amministrato l’Italia al pari delle sue aziende”.

I risultati, disastrosi per il Paese si conoscono bene, come è ben noto l’operato della sinistra che invece di combatterlo con una seria politica, è rimasta immobile. Le sue “battaglie” sono state quelle delle critiche sulla persona di Berlusconi, divenute un alibi per nascondere una inefficienza politica generale. La parentesi del governo Prodi è stata un’occasione perduta: la mancanza di programmi, l’allontanamento dalle masse popolari e le lotte intestine, hanno riportato al potere Berlusconi, favorendo ancor di più lo spostamento dell’elettorato a destra sino ad arrivare ai nostri giorni. Ma anche il popolo degli elettori ha la sua parte di responsabilità, con la sua ignoranza, che non s’informa, non legge, vive tra i selfie e i tatuaggi; con una scuola da anni trascurata; con professori frustrati e malpagati.

Berlusconi, come “padre della patria” è stato quasi santificato; ha avuto esequie di Stato e per lui è stata decretata una giornata di lutto nazionale. Gli stessi onori che furono tributati nel dopoguerra a Benedetto Croce, a Enrico De Nicola, ai Presidenti della Repubblica, tutte personalità “che hanno reso particolari servizi alla patria”. Ma erano altri tempi quando ancora si rispettavano certi valori.

Foto: un momento delle esequie di Berlusconi nel duomo di Milano

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