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Cinque Terre, un paradiso perduto precipitato nell’inferno del consumismo

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Il Comitato del Patrimonio Mondiale UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) iscrisse il sito Porto Venere, Cinque Terre e le Isole Palmaria, Tino e Tinetto nella lista dei patrimoni nel 1997, riconoscendo che la Riviera Ligure di Levante, compresa nella Provincia della Spezia, è un sito culturale di eccezionale valore che illustra uno stile di vita tradizionale che esiste da più di mille anni e continua a svolgere un ruolo socio‐economico importante nella vita della comunità.

Inoltre, la regione costiera ligure dalle Cinque Terre a Porto Venere è un esempio eccezionale di paesaggio dove il layout e la disposizione dei piccoli villaggi, storicamente stratificati, in relazione al mare, e la formazione dei terrazzi circostanti che superavano gli svantaggi di un ripido terreno irregolare, raccontano la storia continuativa dell’insediamento dell’uomo in questa regione nell’ultimo millennio. Porto Venere, Cinque Terre, e le Isole, sempre secondo l’UNESCO, rappresentano un notevole paesaggio culturale creato dagli sforzi dell’uomo nell’arco di più di un millennio in un ambiente naturale aspro e drammatico garantendo l’interazione armoniosa tra uomo e natura per produrre un paesaggio di eccezionale qualità scenica.

Chi ha avuto la possibilità di conoscere e frequentare questi luoghi fino agli Anni ottanta del novecento, sa bene quanto tutto ciò fosse vero. Il contesto, però, era profondamente diverso da quello odierno. La strada litoranea che unisce La Spezia a Riomaggiore e Manarola era stata terminata a metà degli Anni sessanta, lasciando incompiuto il percorso verso gli altri paesi, Corniglia, Vernazza e Monterosso per i costi proibitivi, ma soprattutto per lo scempio che avrebbe causato all’ambiente. I collegamenti erano sostanzialmente affidati alla ferrovia e a strade che scendevano ripide e malsicure dalla Strada dei Santuari, una via mozzafiato che percorre le creste delle colline che dividono la Val di Vara dalla costa.

Gli spezzini ricordano bene gli abitanti delle Cinque Terre che all’epoca sbarcavano in massa dai treni del mattino per venire a scuola o recarsi al lavoro, principalmente come dipendenti dell’Arsenale della Marina Militare, delle Ferrovie di Stato e della pubblica amministrazione locale. In quegli anni quel territorio era un feudo elettorale della Democrazia Cristiana e, per una sorta di risarcimento per l’isolamento economico e sociale patito nel passato, come scrisse a fine 800 il pittore Telemaco Signorini: “terre isolate” e “renitenti alla civiltà”, i suoi abitanti godevano di “percorsi privilegiati” per entrare nella pubblica amministrazione.

Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso a fine Anni sessanta iniziarono a essere conosciuti e frequentati da turisti, perlopiù liguri, e da molti intellettuali che ne apprezzavano il mare incantevole, la tranquillità e la sobria accoglienza, dove si continuava a praticare l’agricoltura “eroica” nelle piane terrazzate a strapiombo sul mare, la diffusa manutenzione dei muretti a secco, la produzione del vino bianco delle Cinque Terre e dello sciachetrà, il vino passito che prende il nome dal rumore che fanno gli acini schiacciati tra le mani per ricavarne il prezioso e raro nettare, la salagione delle acciughe di Monterosso e poco altro.

Poche erano le trattorie, pochi gli affittacamere, solo a Monterosso si trovavano alberghi, gli antichi sentieri si percorrevano in solitudine ed erano molto frequentati solo nel periodo della vendemmia. Lo spettacolo che mettevano in scena le Cinque Terre era magico: l’eccezionale qualità scenica del paesaggio, i frammenti di vita tradizionale, la fruibilità del territorio giustificarono senza ombra di dubbio il riconoscimento dell’UNESCO.

Inesorabilmente divennero meta turistica sempre più ambita e conosciuta nel mondo; pochi, però, immaginavano quello che sarebbero diventate oggi. La necessità di accogliere le migliaia di turisti che affollano i paesi quasi tutti i giorni dell’anno, ha fatto proliferare ristoranti e trattorie, luoghi di ristoro e negozi di souvenir che hanno occupato gli spazi un tempo destinati alle cantine o ai rimessaggi delle barche dei residenti. Così come affittare camere è diventato un business tale da stravolgere il tessuto sociale dei borghi.

Inoltre, la quantità di cibo consumata quotidianamente dai turisti è tale che, ormai da anni, vengono serviti prevalentemente prodotti surgelati, pescati o preparati lontano dalla Liguria ed estranei alla cultura locale: scomparse le acciughe di Monterosso, non basterebbero tutte le vigne delle Cinque Terre per produrre lo “sciachetrà” versato ai turisti in un mese, senza contare ortaggi e frutta che più nessuno coltiva.

L’enorme afflusso di turisti, tre milioni nel 2022, favorito dal trasporto ferroviario e dai traghetti che collegano con La Spezia e con Sestri Levante, ha reso impossibile percorrere i sentieri e i “carugi” nei borghi riuscendo ad apprezzarne l’unicità. Antichi sentieri mantenuti nei secoli dal lavoro volontario degli abitanti, grandi esperti della tecnica dei “muretti a secco”, oggi franano sotto la fiumana di persone che incessantemente li percorrono senza avere quasi la possibilità di ammirare il paesaggio. I flussi sono così elevati che nei sentieri, in alcune ore della giornata, è stato instaurato il senso unico. La Via dell’Amore, la splendida via a strapiombo sul mare che unisce Riomaggiore a Manarola, conosciuta in tutto il mondo, oggi è a pagamento e interdetta al passeggio nelle ore notturne.

Le attività commerciali propongono prodotti e oggetti che poco o nulla hanno a che vedere con la tradizione locale, ma rigorosamente marchiati “Cinque Terre” perché è un “brand” che tira moltissimo: cosmetici, colliri a base di acqua di mare, miele, acciughe “atlantiche” sott’olio, sciachetrà spuri, liquori e molto altro.

Certo la prosperità tra gli abitanti non è mai stata così diffusa anche se il dato rimane in parte sotto traccia a causa di una certa “renitenza” a rilasciare gli scontrini fiscali, lamentela frequente da parte dei turisti insieme a quella dei prezzi esorbitanti, ma il dubbio di aver imboccato un percorso rischioso e insostenibile nel tempo comincia a serpeggiare non solo tra gli anziani, nostalgici della perduta tranquillità, ma anche tra chi è protagonista della vita economica e politica delle Cinque Terre.

Scrive infatti il Consorzio Turistico di Manarola: “Il turismo che vediamo tutti i giorni, in particolare per la quota non residenziale, solleva perplessità e molti dubbi circa la sostenibilità nel lungo periodo, in particolare per i cinque paesi, dove la risorsa non sono accattivanti beauty farm, o concerti internazionali o fantascientifici servizi balneari con parco acquatico annesso, ma piuttosto l’ambiente marino e terrestre, i paesi e quello che nell’insieme li circonda”.

Se l’UNESCO dovesse valutare oggi se inserire le Cinque Terre tra i siti patrimonio dell’umanità, sicuramente rileverebbe la mancanza di alcuni dei requisiti fondamentali visto che è sempre più difficile cogliere gli aspetti culturali del paesaggio, apprezzare lo stile di vita tradizionale, pressoché scomparso, ed è ormai praticamente impossibile fruire con piacere del territorio.

La consapevolezza che occorra trovare una terza via tra la povertà, l’isolamento del passato e la “Fiveland” del presente è ormai acquisita da amministratori pubblici, da molti abitanti e dagli operatori economici, ma le misure pensate o fin qui adottate come i sentieri a senso unico o la proposta del numero chiuso per i turisti giornalieri e prenotazioni obbligatorie per visitare i borghi, paiono non funzionare e ogni anno che passa il degrado dei sentieri, dell’ambiente naturale e umano aumenta inesorabilmente mentre i borghi diventano invivibili per gli abitanti stessi.

La domanda a cui trovare una risposta è: riusciranno la politica e la società civile a impedire che le Cinque Terre diventino un baraccone privo di anima, capace solo di attirare turisti che collezionano luoghi senza curarsi della loro genuinità, visitandoli come fossero outlet ai bordi di un’autostrada? L’irreparabile è comunque già accaduto: se qualcuno di loro, sulle orme di Eugenio Montale, volesse rivivere le atmosfere di un “meriggiare pallido e assorto, presso un rovente muro d’orto”, tornerebbe a casa deluso.

Copertina: Riomaggiore, Cinque Terre, in un’opera di Telemaco Signorini

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