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Gli “scatti” facili della Meloni

Tempo di lettura: 3 minuti

Amichettismo. È un brutto neologismo poco usato se non in qualche scontro verbale tra persone che non hanno più argomenti da contrapporre alle critiche.

La Meloni lo ha aggiunto a una delle sue pubbliche invettive, tipo come È finita la pacchia, indirizzata all’Unione Europea appena eletta premier. L’elenco degli improperi prosegue con quelli rivolti ai giornalisti e ai loro giornali che osano criticarla: l’ultima Da voi non prendo lezioni, indirizzata a La Repubblica.

È naturale che la presidente del Consiglio abbia scatti di nervi, data la mole di lavoro che deve affrontare, ma non può scaricarli in pubblico aggiungendo toni, enfatizzati dalla cadenza romanesca, che ricordano i battibecchi tra condomini o baruffe tra ambulanti di mercato. È una questione di dignità per la carica che copre e di rispetto per chi la critica, oltre al riguardo verso le norme della Costituzione.

Ma a parte i “nervi”, creare molti nemici e attaccarli con poche e dure parole, fa anche parte di una tattica politica che coinvolge le persone culturalmente più ingenue. Lo hanno fatto tanti autocrati.

Il termine amichettismo nacque con la prima Repubblica quando le sinistre usavano con ironia verso i democristiani le parole amichetti della parrocchietta e venivano ricambiate con amichetti della tessera. Ma si fermavano sull’ironia, senza lanciare invettive contro la stampa o Istituzioni nazionali e internazionali. Un’eccezione fu la frase del ministro degli Interni (meglio definirlo ministro di polizia) Mario Scelba che definì culturame la cultura. Venne criticato anche dai vertici della DC.

La realtà di questa destra è che al posto dell’amichettismo vi dominano legami familistici e corporativi, cioè la scelta alla guida delle Istituzioni di parenti e amici fidati anche se incompetenti e arroganti, che ripetono gaffe una dietro l’altra o peggio.

Costoro sono consapevoli che il loro linguaggio piaccia a una buona parte della “plebe” italiana, quella attaccata ai social che riempiono la rete di improperi con i quali pensano di uscire da una vita di frustrazioni; quella delle curve degli stadi; degli artigiani che non pagano l’IVA; dei disoccupati abbandonati dai sindacati; dei neofascisti che impunemente danno spettacolo col saluto romano e le divise di quel passato nefasto.

In Germania nei giorni scorsi più di un milione e mezzo di tedeschi ha manifestato per le piazze contro l’NPD, il partito neonazista che si va rafforzando. E in Italia contro i neofascisti? Silenzio assoluto della società civile e della sinistra. Quest’ultima, passata da anni a una visione politica neoliberale, ha allontanato il “popolo progressista” dalle ideologie etiche e sociali.

Pertanto questa destra, che è ben lontana in peggio dai partiti conservatori tradizionali, ha potuto facilmente occupare il potere e lo esercita nel peggiore dei modi, nel governo e nelle periferie.

Si va dal cognato della Meloni che fa fermare un treno dell’Alta velocità perché aveva un appuntamento “urgente”, alla vicenda del parlamentare Emanuele Pozzolo, proprietario di una pistola da cui è partito un colpo che ha ferito uno degli invitati alla festa di capodanno. A quasi un mese da quel giorno la perizia balistica lo inguaia, ma la verità ufficiale non è ancora venuta fuori.

L’ultimo sproposito proviene da Terni, un tempo considerata una “città rossa”, quando in Consiglio comunale una consigliera di FdL ha letto una serie di frasi sessiste pronunciate tempo prima dal sindaco Stefano Bandeschi, leader del partito Alleanza popolare. Ecco una delle frasi: «Un uomo normale guarda il bel culo di una donna e forse ci prova anche».

Questa volta Fratelli d’Italia non è “colpevole”, perché il partito di Bandeschi non è nel governo: si era alleato prima con Renzi e poi con Calenda. Oggi non si sa da che parte stia. Ma anche quelle frasi manifestano l’esistenza dello sfascio morale che avvolge il nostro Paese.

Tornando alle parole della Meloni vengono definite “autenticismo retorico” dalla professoressa Flavia Trupia, esperta di linguaggio del nostro Paese. E aggiunge: «La retorica ha una doppia natura. Serve per far “volare” le nostre idee ma anche per parlare la lingua della manipolazione e dell’odio». Ci sono dubbi sulla scelta della nostra prima ministra?

Copertina: frame da diretta TV Parlamento

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