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La droga della Jihad, arma segreta del terrorismo

Tempo di lettura: 3 minuti

(Seconda parte)
Anche gli Alleati seguirono la via farmacologica e non appena si resero conto dei risultati ottenuti dai tedeschi con il Pervitin, si mossero rapidamente per rifornire di “medicinali” i militari al fronte nel tentativo di ottenere gli stessi risultati. Seppur in modo molto più riservato, ai militari furono inviate milioni di tavolette di “Benzedrine”, ossia il cocktail a base di metanfetamina scelto dal comando alleato per mantenere i soldati all’altezza di quelli nazisti; secondo un calcolo approssimativo basato sulle ordinanze mediche, ricavate dagli archivi statunitensi della Seconda guerra mondiale, si calcola che circa 72 milioni di tavolette di metanfetamina siano state utilizzate dalle truppe alleate durante tutto il conflitto.

La dimensione del fenomeno, enorme per le quantità di psicofarmaci utilizzate su tutti i fronti, non fu mai conosciuta dal grande pubblico e godette di una sorta di “ufficiosità” negli stessi documenti militari. Soltanto negli anni Settanta, all’indomani della guerra in Vietnam, il pubblico è venuto a conoscenza dei devastanti effetti degli stimolanti che i soldati assumevano per sopportare gli orrori del conflitto. Nel 1971 un’inchiesta del Congresso rivelò che tra il 1966 e il 1969 l’esercito americano aveva utilizzato 225 milioni di pillole stimolanti, in prevalenza “Dexedrina”, un farmaco derivato dall’anfetamina circa due volte più forte del “Benzedrine”.

Le stragi di civili, l’estrema ferocia dimostrata dai militari nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, anche in Italia, ma anche il massacro di civili a My Lai in Vietnam, di cui ricorre l’anniversario in questi giorni, non furono mai accostate all’uso di sostanze stupefacenti da parte degli “assassini”. Rimane forte il dubbio, però, che comportamenti disumani contro donne, bambini e vecchi, inermi e non combattenti, siano stati in parte favoriti dallo stato di alterazione causato dalle amfetamine.

Ogni dubbio scompare quando si affronta il tema del terrorismo islamico. All’indomani degli attacchi del 6 ottobre, un breve comunicato dell’IDF (Israeli Defence Force), passato quasi inosservato, informava che le autopsie sui corpi di alcuni terroristi di Hamas avevano rivelato tracce di Captagon, la cosiddetta “droga dei kamikaze”. Il Captagon, conosciuto già qualche anno fa, quando si scoprì che, a farne uso, erano stati militanti dell’Isis prima di compiere stragi e attentati in tutto il mondo, toglie ai terroristi ogni residuo di umanità provocando una sorta di esaltazione fanatica e un odio incontenibile.

La “droga della Jihad” – altro modo in cui è stato soprannominato il Captagon – è un cloridrato di fenetillina, un composto di anfetamina e altre sostanze stimolanti da decenni diffuso nei Paesi del Golfo e ora diffusosi in modo capillare tra chi combatte la “Guerra Santa”. Questo nonostante che la religione islamica vieti l’assunzione di droghe, così come la loro produzione e il loro commercio: un versetto del Corano, infatti, recita: “Alcool, droga e gioco d’azzardo sono ‘affari’ di Satana”.

È quindi evidente il paradosso che colpisce il terrorismo jihadista: da un lato viene professata la più rigida e fedele osservanza dei dettami del Corano, in nome dei quali vengono compiuti attentati terroristici in tutto il mondo, mentre dall’altro il terrorismo islamico non avrebbe modo di esistere senza i proventi del traffico e l’assunzione delle droghe.
L’obiettivo finale dell’uso delle droghe sui terroristi, è in ultima analisi quello di esercitare una sorta di controllo mentale assoluto che porti il combattente a sacrificare la propria vita per l’ideologia politica o religiosa. Il martirio per la “causa” sarà più facile, senza ripensamenti o remore morali, attraverso l’assunzione di droghe che inibiscano la capacità di giudizio e facciano compiere l’ultimo gesto in uno stato di completo offuscamento.

Poche fonti citano le metamfetamine come sostanze presenti sul campo di battaglia perché chi subisce gli attacchi di “guerrieri” pesantemente dopati, che si macchiano di crimini orrendi, vuole evitare di fornire una scusante, quasi che riconoscendo il loro stato di tossicodipendenti se ne confermi una sorta di incapacità di intendere e volere, attenuandone di fatto le responsabilità. Chi, invece, utilizza cinicamente il condizionamento chimico per motivare i militanti a compiere crimini orribili e al sacrificio della loro vita, tace per nascondere che l’obbedienza di costoro non è dovuta alla granitica adesione alla causa religiosa, ma dipende in buona parte da sostanze “sataniche”.

Quando in un paese democratico, con governi eletti dal popolo, muore un soldato in missione l’opinione pubblica ne rimane sconvolta e alla lunga il consenso per quei governi diminuisce. Per questo le democrazie occidentali, evolute tecnologicamente, che posseggono capacità d’innovazione e ricerca, delegheranno sempre di più all’intelligenza artificiale la gestione dei conflitti: macchine “unmanned” che imparano a funzionare senza equipaggio in tutti i domini, affronteranno chi, invece, grazie a una crescita demografica imponente e a condizioni di vita miserevoli continuerà a disporre di un gran numero di robot, la cui intelligenza sarà in buona parte artificiale, ma inserita in corpi umani e la cui morte potrà essere rivendicata come martirio.

Insomma, il Vecchio della Montagna non è morto, ha solo cambiato pusher!

Copertina: Combattenti della jihad islamica – Depositphotos

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