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La droga in guerra arma efficace

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Tutti noi conosciamo l’origine della parola assassino. Marco Polo nel Milione racconta del Vecchio della Montagna, Hassan-I Sabbah, che fondò la setta degli hashashin. Storicamente questo gruppo di sciiti ismaeliti che vivevano nell’attuale Iran, riuscì a sopravvivere per molti secoli all’attacco dei regni sunniti che lo circondavano grazie all’estrema determinazione dei suoi soldati e alla pratica degli omicidi politici. La leggenda vuole che questa determinazione non fosse dovuta al solo valore dei suoi seguaci, ma anche all’uso di sostanze psicotrope.

Lo stesso Marco Polo parla di un giardino dove Hassan rinchiudeva i giovani che avessero mostrato una propensione per l’uso delle armi. In questo giardino i futuri sicari vivevano sotto gli effetti dell’hascisc profittando delle attenzioni di bellissime fanciulle. Ogni volta che lo Scià aveva bisogno di eliminare un nemico potente, prelevava uno di questi giovani e gli prometteva che sarebbe potuto rientrare nel giardino paradisiaco solo una volta completata la missione. La determinazione e la ferocia con la quale gli adepti di Hassan-i Sabbah agivano si sono tramandate nel tempo fino a trasmettere l’attuale significato del termine “assassino”.

Non è molto noto, seppur diffuso, il ruolo degli stupefacenti nelle guerre, antiche e moderne. Gli uomini fanno da tempo immemore uso di droghe capaci di renderli più forti sul campo di battaglia: dai vichinghi che alimentavano la propria furia con i funghi allucinogeni, ai guerrieri inca che masticavano le foglie di coca, ai soldati della guerra civile americana sotto morfina, alla Wehrmacht della Seconda Guerra Mondiale con il Pervitin.

La diffusione “industriale” degli stupefacenti come coadiuvante dello spirito bellico risale, però, alla Prima guerra mondiale. Pare incredibile, ma l’ecstasy venne sintetizzata per la prima volta agli inizi del ‘900 dalla società farmaceutica tedesca Merck che cercava una sostanza che facesse dimagrire, venne chiamata Mdma ma mai messa sul mercato. Durante la Prima guerra mondiale, però, venne somministrata ai soldati tedeschi e austriaci in trincea: li aiutava a sopportare la fame, il freddo e ad affrontare il nemico.

Gli oppiacei e la cocaina, sintetizzati alla fine del XIX Secolo – l’eroina fu brevettata dalla Bayer nel 1897 – inizialmente utilizzati per lenire i dolori dei feriti e curare i traumi psichici dei combattenti, furono ampiamente usati in trincea, benevolmente tollerati dai comandi di entrambi gli schieramenti, per combattere la paura, aumentare l’aggressività e la resistenza alla fatica e allo stress. Anche l’alcol, inizialmente proibito ai militari, finì per essere distribuito giornalmente nelle trincee, in maggior quantità alla vigilia dei combattimenti, per stordire e attenuare la paura della morte.

Gli anglosassoni ricevevano rum e birra, gli austroungarici il brandy, i russi la vodka, i francesi mezzo litro al giorno di Padre (in senso di prete) Pinard, un vino rosso di bassa qualità mescolato spesso con etere o assenzio; gli italiani le bustine di Cordiale, da aprire con i denti, prodotto dall’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze e la grappa. La Seconda guerra mondiale è però lo scenario dove appaiono le sostanze stupefacenti più efficaci e specifiche per i combattenti.

Protagonista fu la Germania nazista. Inizialmente l’ideologia fu integralista nelle sue posizioni contro la droga: l’uso sociale di stupefacenti era considerato tanto un segno di debolezza personale quanto un simbolo del declino morale del Paese sulla scia della traumatica e umiliante sconfitta nella Prima guerra mondiale. Il consumo diffuso di droghe nella Germania di Weimar era visto come un’abitudine decadente, edonistica e abietta, che minacciava di avvelenare la “razza superiore” ariana.

I tossicodipendenti non solo erano stigmatizzati e internati, ma potevano affrontare punizioni severe, tra cui la sterilizzazione forzata e la deportazione nei campi di concentramento. Nella propaganda nazista, gli ebrei erano raffigurati come dediti all’abuso e allo spaccio di stupefacenti, e dunque come una minaccia alla purezza della nazione. Al contrario le metamfetamine rappresentavano l’opposto delle droghe assunte per il piacere e l’evasione come l’eroina e l’alcol.

Le metanfetamine erano la droga perfetta per Hitler perché rafforzava l’ossessione del Terzo Reich per la superiorità fisica e mentale e perché era capace di esasperare la fiducia in sé stessi aumentando a dismisura la soglia di attenzione e la predisposizione all’azione violenta. Gli ariani, l’incarnazione della perfezione umana secondo l’ideologia nazista, potevano così sentirsi superuomini, e in quanto tali diventare soldati invincibili. Durante le Olimpiadi del 1936 a Berlino molti atleti, specialmente statunitensi, usavano la benzedrina, anfetamina prodotta negli Stati Uniti, come sostanza dopante.

Nel 1937 Il chimico tedesco Friedrich Hauschild, venuto a conoscenza di tale sostanza, riuscì a sintetizzare la metamfetamina, cugina stretta dell’amfetamina e molto più potente della benzedrina. La Temmler-Werke, azienda farmaceutica per cui lavorava Hauschild, cominciò a vendere la metamfetamina con il marchio Pervitin. Il prodotto divenne famoso in pochi mesi, già prima del suo massiccio impiego “bellico”, perché poteva essere acquistato in farmacia senza prescrizione; addirittura si producevano cioccolatini con l’aggiunta di metamfetamina.

Il dottor Otto F. Ranke, uno dei direttori dell’Accademia medica militare tedesca, intuì le potenzialità del Pervitin sul campo di battaglia, grazie a soldati chimicamente potenziati, in grado di dare alla Germania un vantaggio militare combattendo più a lungo e con maggior forza rispetto al nemico. Dopo aver testato la droga su un gruppo di ufficiali medici, Ranke concluse che si trattava di “Una sostanza di grande valore militare”, economica, da produrre perché non richiedeva materie prime importate. Lo stesso Ranke era un consumatore regolare e ben presto molti altri ufficiali lo imitarono diffondendo la pratica tra gli alti comandi della Wermacht.

Nel 1938 ufficiali medici somministrarono il Pervitin ai soldati della 3/a divisione corazzata durante l’occupazione della Cecoslovacchia, ma fu l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, il primo vero test militare sul campo della droga. A settembre la Germania attaccò la Polonia e in poco più di un mese concluse vittoriosamente una devastante e sanguinosa campagna. Il Blitzkrieg, la “guerra lampo”, insisteva sulla velocità e la sorpresa, cogliendo il nemico alla sprovvista grazie all’inedita rapidità dell’attacco e dell’avanzata meccanizzata.

Si basava sull’ingegneria tedesca incarnata dalle divisioni Panzer, dai bombardieri Stuka e dal Pervitin. L’anello debole nella strategia del Blitzkrieg erano i soldati: esseri umani, non macchine, che come tali pativano la stanchezza: senza riposo e sonno regolari avrebbero rallentato l’avanzata. Come affermò Peter Steinkamp, lo storico della medicina, “Il Blitzkrieg fu guidato dalla metamfetamina. Per non dire che fu fondato sull’amfetamina”.

*Segue nel prossimo numero
Copertina: Soldati della Wehrmacht in azione dopo aver distrutto un villaggio russo

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