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L’India conquista la Luna ma restano le tante piaghe del Paese

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Il presidente indiano Narendra Modi, durante le celebrazioni del 15 agosto per il 76° anniversario dell’indipendenza dal dominio britannico, ha promesso in un suo discorso che “l’India sarà tra le prime tre economie del mondo entro cinque anni”. Quelle parole miravano alle elezioni politiche del prossimo anno alle quali si candiderà, certo di vincere per la terza volta consecutiva. I dati statistici assecondano le sue promesse di sviluppo: l’India ha superato la Cina nel numero degli abitanti divenendo la Nazione più popolosa nel mondo ed è divenuta la quinta potenza economica globale superando anche la Gran Bretagna, in base a quanto afferma il Fondo monetario internazionale. A questi record si è aggiunta la conquista della Luna dove si è posata la navetta della missione Chandrayaan 3. Due giorni prima invece era fallito il tentativo della Russia.

Ma come accade in molti Paesi in via di sviluppo, anche l’India soffre ancora per gli storici problemi che frustrano le sue ambizioni di crescita: il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà; l’inflazione galoppante alimenta la miseria; si aggiungono le piaghe provocate dal clima e dai monsoni anomali che danneggiano l’agricoltura e provocano carestia. Soprattutto l’aumento dei prezzi (per esempio quello dei pomodori è aumentato del 300% in poche settimane) potrebbe frenare la corsa per la vittoria del partito di Modi.

Alla fine di luglio, il governo ha annunciato il divieto delle esportazioni di riso non-basmati, la variante più pregiata. Con il 40% del volume mondiale, ne è il più grande esportatore. La ragione immediata per questa decisione va ricercata nei fattori meteorologici. Quasi la metà dei terreni agricoli è privo di copertura irrigua. Infatti, l’agricoltura indiana dipende ancora in maniera sostanziale (circa il 50% con picchi anche del 90% in alcune zone del Paese) dalle precipitazioni portate dai monsoni tra giugno e settembre. Piogge al di sotto o al di sopra della norma possono causare devastanti danni alle coltivazioni e compromettere il sostentamento di milioni di Indiani e le prospettive di sviluppo del Paese intero.

A questo si va ad aggiungere un inesorabile aumento della desertificazione e del deterioramento del suolo, specialmente in quelle zone che avevano beneficiato della rivoluzione verde, quando furono introdotte nuove varietà ibride che portarono a un forte aumento della produttività agricola. Il monsone quest’anno è arrivato in ritardo ed ha portato piogge intense nel nord-ovest del Paese e inadeguata pioggia in altre regioni, danneggiando così molte coltivazioni, tra cui quella del riso. Il governo è dunque intervenuto col divieto   per fare fronte all’aumento del prezzo di questo prodotto (salito di circa il 3% nell’ultimo mese) e all’aumento delle esportazioni da parte dei coltivatori, perché a loro più convenienti. In un Paese in cui, la maggior parte della popolazione rurale (circa il 60% del quasi miliardo e mezzo di abitanti) continua a dipendere dal settore primario, è inevitabile che il governo abbia dovuto intervenire per placare l’aumento dei prezzi.

Ci si aspetta che le ripercussioni in Europa di questa decisione saranno minime, poiché la carenza del riso indiano viene compensata dalla quantità proveniente dall’Italia che è di 500 milioni di tonnellate. Per il nostro Paese invece, il riso Indiano rappresenta solo una minima porzione di quello che viene prodotto. La decisione di Nuova Delhi rischia di contribuire al peggioramento della sicurezza alimentare globale. Dal riso indiano dipendono Paesi grandi consumatori come Bangladesh, Nepal, e Filippine.

Infine il problema delle caste rimane il peggior nemico dell’India di Modi. Lo sottolinea Pankaj Mishra, uno dei maggiori intellettuali indiani, che vive a Londra: “L’India è una repubblica fondata sull’umiliazione. Se appartieni alla casta sbagliata la tua origine sarà sempre una ferita aperta”.

Copertina: Il Taj Mahal in una foto di Luca per Pixabay

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