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Mamma Rai è diventata una matrigna

Tempo di lettura: 6 minuti

Se i il 75 per cento dei giornalisti della Rai è sceso in sciopero, e non per motivi economici ma deontologici, significa che non ne possono più della gestione “meloniana” che ha occupato l’ente di Stato.

Ma non è servito a molto perché l’amministratore delegato Roberto Sergio due giorni dopo ha avviato un procedimento disciplinare contro Serena Bortone, la giornalista che aveva rivelato la censura contro lo scrittore Antonio Scurati. Siamo scesi proprio al livello di regime: forse un giorno negli uffici Rai saranno esposte le foto di Mussolini con la scritta “noi tireremo dritto”?

Non ricordo quando ci fu l’ultimo sciopero, ma credo siano passati tanti decenni. Non ci fu alcuna reazione per “l’editto bulgaro” del 18 aprile del 2002, proclamato da Berlusconi contro Enzo Biagi, Michele Santoro e il comico Daniele Luttazzi: durante una conferenza stampa a Sofia, l’allora capo del governo italiano disse che i tre “avevano fatto uso criminoso della Rai”. I dirigenti ubbidirono subito al nuovo “padrone” e li cacciarono.

Fu una azione vergognosa: non si tenne conto che Biagi, uno dei più popolari giornalisti italiani aveva un’audience molto elevata. Eppure I sindacati dell’Usigrai e della Federazione nazionale della stampa non avanzarono alcuna protesta.

Biagi direttore del Tg

Quando i padroni della Rai erano democristiani, nel 1961 Biagi fu chiamato alla direzione del Tg 1. Aveva il compito di svecchiare il telegiornale e per prima cosa ridusse spazio alla politica, cioè alle notizie che facevano comodo al DC.

Venne subito attaccato dopo un’intervista fatta a Palmiro Togliatti: un ministro, Guido Gonnella, lo accusò di “non essere allineato all’ufficialità”. Ma il premier Fanfani non intervenne e lo lasciò al suo posto.

Si dimise l’anno dopo rilasciando questa dichiarazione: «Ero l’uomo sbagliato al posto sbagliato; non sapevo tenere gli equilibri politici, anzi proprio non mi interessavano e non amavo stare al telefono con onorevoli e sottosegretari […] Volevo fare un telegiornale in cui ci fosse tutto, che fosse più vicino alla gente, che fosse al servizio del pubblico non al servizio dei politici».

I politici democristiani avevano altri metodi per allontanare qualcuno, più diplomatici e anche più subdoli. Oltretutto all’interno del partito c’erano persone rispettose dei principi democratici e tra i dirigenti della Rai non tutti si inchinavano al potere politico. Quelli di oggi si comportano invece da parvenu rozzi, ignoranti e prepotenti, ma docili verso il potere.

Ricordo che alla fine degli anni Cinquanta al liceo scientifico che frequentavo arrivarono due dipendenti della Rai che classe per classe, chiedevano agli studenti cosa pensassero della televisione. Io risposi a uno di loro che era troppo governativa. E lui mi disse pacatamente: «Per forza, comanda la Dc».

Nel dopoguerra arrivano gli inglesi

Quel partito aveva occupato l’emittente nel 1955, un anno dopo la nascita della Tv. Le trasmissioni radio erano state molto più aperte a tutte le voci. La Rai, (Radio audizioni italiane) assunse questo acronimo subito dopo la liberazione di Roma del 4 giugno 1944. Prima era la fascista Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche).

Se ne occuparono subito gli alleati attraverso il Pwb (Psychological Warfare Branch) un organismo del comando militare anglo-americano, incaricato di controllare e supervisionare i mezzi di comunicazione di massa italiani: stampa, radio e cinema.

Il compito fu affidato agli inglesi i quali chiamarono come commissario straordinario per la neonata Rai Luigi Rusca, scrittore, traduttore, a quei tempi direttore generale della Mondadori. A loro era noto perché a fine 1942 ebbe in Svizzera, mandato segretamente da Badoglio, contatti segreti col Soe, il britannico Special operations executive.

Rusca, con l’approvazione degli alleati chiamò ai posti chiave dell’informazione radiofonica intellettuali e giornalisti chiaramente antifascisti: lo scrittore Corrado Alvaro come direttore del giornale radio; seguirono Mario Pannunzio direttore generale, poi Vittorio Gorresio, Luigi Barzini junior, Paolo Monelli, Vittorio Zincone, Enrico Falqui, Carlo Emilio Gadda, Ennio Flaiano, Carlo Mazzarella, Vitaliano Brancati.

Era un gruppo politico-culturale in grado, secondo il Pwb, di contrapporsi sia ai cattolici sia ai comunisti. Era un bel gruppo al quale si aggiunse l’amministratore delegato Salvino Sernesi, proveniente dai vertici dell’IRI, artefice della ricostruzione della emittente di Stato e della nascita della Tv. Gestì l’Azienda come un’industria, preoccupandosi di fornire ai “consumatori” programmi ben fatti e un’informazione obiettiva.

Per questo motivo non accettava le intrusioni dei politici e le raccomandazioni, creando così divergenze insanabili col mondo democristiano che nel 1955 decise di andare all’attacco dopo due “incidenti”: il primo fu quando durante la trasmissione politica Il convegno dei cinque, il deputato del Pci Antonio Giolitti, col suo intervento mise in grande imbarazzo molto garbatamente gli interlocutori democristiani. Il secondo si verificò quando nel corso di un’inchiesta, si parlò favorevolmente dell’edilizia popolare sovietica.

È da notare che allora gli interventi dei politici alla Tv si svolgevano nel rispetto dei tempi e della massima educazione.

L’antenna Rai di Milano

La Rai clericale

Sernesi “saltò” e il suo posto fu occupato da Filiberto Guala, un fervente cattolico del quale si diceva che avesse fatto voto di castità e che portasse il cilicio. Direttore generale divenne Giovan Battista Vicentini, protetto da Pio XII, proveniente dall’Azione cattolica e amico di Luigi Gedda, leader dell’integralismo cattolico italiano.

I risultati arrivarono subito: i giornali Radio-Tv assunsero i toni di un bollettino ufficiale che ignorava tutti gli eventi che davano fastidio al governo. Il settore della musica leggera, affidato al presidente del sindacato cattolico degli avvocati Enrico Piazza, fu invaso da canzonette banali dedicate alle mamme e all’amore casto.

Le annunciatrici come Nicoletta Orsomando, Marisa Borroni, Fulvia Colombo, pur note per la loro avvenenza, dovevano apparire sul teleschermo riservate e per niente sexy, con l’obbligo di non truccarsi e di sorridere sempre in modo discreto.

Guala ebbe però il merito di promuovere corsi per creare nuovi giornalisti, funzionari e programmisti tra i quali uscirono manager come Angelo Guglielmi, Fabiano Fabiani e Emanuele Milano; collaboratori come Uberto Eco, Furio Colombo, tutti non collegati al mondo clericale. In queste scelte incise il consigliere dell’amministratore delegato, Pier Emilio Gennarini, un intellettuale molto preparato proveniente dal movimento dei cosiddetti “cattocomunisti”.

Si rinnova col boom economico

La direzione di Guala si era conclusa nel giugno del ’56 quando l’AD fu costretto a dimettersi ed entrò pochi mesi dopo nell’ordine dei frati trappisti. L’Italia stava cambiando, si avviava verso il boom economico.

I vertici della Rai furono rinnovati: amministratore delegato divenne Marcello Rodinò, ingegnere elettronico ben lontano dai sistemi clericali di prima. Lo affiancava il direttore generale Rodolfo Arata, un giornalista cattolico apprezzato per le sue doti di equilibrio. Dette molta attenzione ai cambiamenti politici ed economici in un’Italia che cresceva. Molte trasmissioni cambiarono in meglio rasentando la spregiudicatezza, anche se la censura rimase.

Da poco direttore generale era diventato Ettore Bernabei, un giornalista cattolico e uomo di fiducia di Fanfani. Di grande abilità, meticoloso, con un carattere dittatoriale e collerico, diventò presto il vero detentore del potere della Rai.

Trasformò l’azienda, che aveva raggiunto i tre milioni di abbonati, in una grande fabbrica di consenso, potenziando l’offerta di programmi con risvolti spesso progressisti, accontentando i socialisti e riducendo le critiche dei comunisti. Nominò Enzo Biagi direttore del Tg1.

Il varietà aveva anche i suoi lati positivi come la partecipazione di comici eccezionali: Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello con le loro battute satiriche e le imitazioni che facevano ridere tutta l’Italia. Di fronte alle parolacce e al pessimo gusto che oggi volano impuniti alla Tv, le ingenue gag dei comici di allora provocavano un autentico divertimento.

Un target elevatissimo fu raggiunto anche col teatro e la commedia realizzati con molta accuratezza. Venivano prodotte opere di grandi drammaturghi e commediografi: da Goldoni a Pirandello; da Niccodemi a De Filippo; da Cechov a Tolstoj, da Shakespeare a Dickens.

Gli italiani si chiudevano in casa o riempivano i bar per vederle. “David Copperfield” ebbe 15.400.000 spettatori; “Il Mulino del Po”, di Bacchelli 14.600.000. La pubblicità arrivò nel gennaio del ’57, ma in modo discreto, con ”Carosello”, un programma di 10 minuti, in onda dopo il telegiornale, con quattro spot, alcuni con cartoni animati, altri con la partecipazione di famosi personaggi dello spettacolo.

Il resto è storia recente. Nel ’75 venne approvata la legge sulla riforma della Rai che, tra l’altro, divideva i tre canali della Tv tra Dc, Psi e Pci. Negli Anni ottanta la liberalizzazione delle Tv private portò alla nascita delle grandi emittenti e al monopolio di Berlusconi.

Oggi la ridicola censura di Guala fa parte di un ricordo remoto. Uno dei pregi della televisione di allora fu quello di unificare la lingua italiana e di diffondere un po’ di cultura anche tra i ceti popolari. Pertanto un sentimento di nostalgia appare realmente accettabile. “Mamma Rai” di allora è diventata oggi una perfida matrigna.

P.S.
“Per svegliarci come nazione dobbiamo vergognarci del nostro stato presente”. Leopardi due secoli fa.

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