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Palestina, storia di guerre e sangue

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La Storia. Sentendo delle urla provenienti da una casa, sono salito ed ho visto un arabo nell’atto di mozzare la testa di un bambino e mentre gli stava vibrando la lama sul collo, vedendomi, ha tentato di colpire me. Ho sparato e l’ho ferito al ventre. Dietro di lui c’era una donna ebrea immersa nel sangue. (Da “Storia del conflitto arabo sionista”, di Ben Morris).

Questo non è il racconto di un episodio del massacro commesso in questi giorni da Hamas in Israele, ma la testimonianza del vice ispettore Raymond Caffarata resa in un processo in Palestina contro un gruppo di arabi che durante una rivolta a Hebron, scoppiata il 20 agosto del 1929, avevano ucciso 68 ebrei. Il poliziotto era inglese perché la Palestina era un Mandato britannico ottenuto dopo la prima guerra mondiale dal trattato di Sèvres che aveva tolto quasi tutto il Medio Oriente all’Impero Ottomano, alleato della Germania e dell’Austria- Ungheria.

In base a quel trattato l’Impero, ormai limitato alla sola Turchia – diventata nel frattempo repubblica dopo la cacciata del sultano da parte dell’esercito guidato da Kemal Pascià, detto Ataturk – aveva ceduto i territori perduti a Gran Bretagna e Francia. La prima aveva ottenuto oltre alla Palestina, l’attuale Iraq e la Transgiordania; la seconda la Siria e il Libano, sempre come Mandati. L’Arabia Saudita invece era diventata indipendente grazie alla collaborazione con gli inglesi contro gli ottomani e anche alla missione di Laurence d’Arabia.

Tutto questo fa parte della Storia, una storia formata dai tanti tasselli di un brutto mosaico geopolitico ideato dalle potenze vincitrici di allora che si consideravano padrone del mondo. Se si vuole capire che cosa accade oggi tra Israeliani e arabi bisogna ripercorrere un cammino all’indietro di tanti anni, forse di secoli.

Tornando a quel processo del 1929, la rivolta di Hebron fu provocata dalla notizia che a Gerusalemme due arabi erano stati uccisi dagli ebrei. Non era vero: colpevole era stata la polizia inglese che aveva sparato sulla folla durante una manifestazione antibritannica. Non si seppe mai chi diffuse la falsa notizia, ma è certo che gli inglesi nel governare la Palestina seguivano il motto divide et impera, come facevano da sempre in India nei rapporti con musulmani e induisti.

Ad Hebron su una popolazione di 17.000 abitanti, vivevano 750 ebrei che mantenevano buoni rapporti con gli arabi. Difatti durante quella rivolta la maggior parte di loro fu salvata nascondendosi nelle case dei musulmani. Al processo uno scampato all’eccidio raccontò che un arabo di nome Isaa al Kurdyia aveva salvato 33 ebrei nascondendoli nella sua cantina. Tutti gli scampati i cui avi risiedevano da secoli a Hebron, si trasferirono a Gerusalemme.

Secondo un censimento del 1922 in Palestina vivevano 590.000 arabi musulmani, 90.000 arabi cristiani e 83.000 ebrei. Di questi, molti vi abitavano da secoli, arrivati dall’Europa in fuga dalle persecuzioni della Chiesa cattolica. Tanti altri si erano stabiliti in altre ragioni dell’Impero Ottomano: Egitto, Algeria, Libia, Marocco, Tunisia. Erano ben accolti dai sultani di Costantinopoli perché l’impero aveva bisogno di tecnici, artigiani, amministratori, consiglieri. Erano liberi di pregare il proprio Dio, di costruire sinagoghe, a patto che pagassero una tassa.

Venne anche dato rifugio all’esodo delle migliaia di ebrei cacciati o fuggiti dalla Spagna in seguito alle persecuzioni subite dall’Inquisizione di Tomàs de Torquemada (1420-1498), il frate domenicano confessore dei reali Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. In realtà la difesa della fede cristiana era il pretesto per appropriarsi dei beni delle loro vittime.

Nel resto dell’Europa gli ebrei erano confinati nei ghetti. Il sultano Solimano il Magnifico, andato al potere dell’Impero Ottomano ai primi del secolo successivo, ordinò al suo Visir Pargalì Pascia (il primo ministro, un cristiano) di proteggere la popolazione ebraica residente. C’è da meravigliarsi? A quei tempi la tolleranza e la pietà scarseggiavano a San Pietro e nel resto dell’Europa.

Ma avviciniamoci ai nostri tempi, tra la fine del 1800 e i primi del ‘900, quando i pogrom erano molto frequenti nella Russia degli Zar e in Polonia. A ovest c’era più tolleranza tranne in Francia, mentre in Germania, in Austria e in Italia, non esisteva un problema ebraico.

In quegli anni le comunità ebraiche riuscirono a organizzarsi e a pensare alla creazione di uno Stato-nazione. Ne fu il promotore Theodor Herzl, giornalista e scrittore austriaco, fondatore del sionismo. Come inviato a Parigi per un giornale austriaco, seguì il processo contro Dreyfus, l’ufficiale ebreo francese condannato ingiustamente alla Caienna. Comprese quanto fosse radicato l’antiebraismo in Europa.

Organizzò un congresso in cui fu decisa la creazione di uno Stato in Palestina. Nacque anche l’Agenzia ebraica, finanziata dal magnate ebreo inglese Lord Rotschild, che aiutava i correligionari a trasferirsi in quel Mandato britannico. Vennero acquistate a prezzi elevati grandi estensioni di terreno che i palestinesi vendettero volentieri.

Nacquero i primi kibbutz, alcuni villaggi e nel 1909 iniziarono i lavori di Tel Aviv, la prima città ebraica in territorio palestinese. L’emigrazione venne incoraggiata dalla dichiarazione del ministro degli Esteri britannico, lord James Balfour, che nel 1917 in una lettera a Rotschild s’impegnò a sostenere la “costituzione di un focolare ebraico in Palestina”. Nel 1933 la popolazione ebraica era salita a 360.000 unità a fronte 761.000 arabi musulmani e 91.000 cristiani.

Proprio negli Anni trenta Tel Aviv ebbe un grande sviluppo: palazzi moderni, molti dei quali in stile Bauhaus, la scuola di architettura e design nata in Germania. Infatti molti architetti tedesco-ebrei si trasferirono in Israele quando Hitler ordinò la chiusura e la distruzione di quella scuola. In Israele fuggì gran parte dell’intellighenzia ebraica della Germania, la cui antica civiltà venne cancellata in un attimo dal nazismo con l’approvazione di gran parte della popolazione. Arrivarono medici, intellettuali, tecnici, membri dei partiti di sinistra, tutti appartenenti alla comunità ebraica.

Si era formata una classe dirigente moderna e progressista che inevitabilmente si sarebbe scontrata politicamente e socialmente con una popolazione arretrata e guidata da una religione, quella musulmana, ferma al Medioevo. Infatti nel 1936 scoppiò una sanguinosa rivolta araba che si estese a tutta la Palestina e che gli inglesi riuscirono a contenere con difficoltà. L’anno dopo una commissione parlamentare britannica propose la spartizione della Palestina in due Stati, quello arabo e quello ebraico. Una saggia proposta che vale anche oggi ma che nessuno accetta.

La Storia non finisce qui

Copertina: immagine Depositphotos

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