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Buon Natale vegetale!

Tempo di lettura: 3 minuti

Non voglio guastar le feste, ma col pranzo di Natale faremo tutti una celebrazione gastronomica di come noi umani non sappiamo stare al mondo. Un picco quantitativo di consumi inquinanti con la rappresentazione plastica delle errate scelte qualitative in agricoltura, zootecnia, pescicoltura.

Menù di pesce? Fa tanto bene ma fa anche tanto male. I pesci sono gli animali più sfruttati al mondo. La pesca superindustriale fa sì che tra marzo e giugno, tutti i mari del pianeta vanno in debito di produzione naturale delle scorte – solo 10 anni fa il punto di crisi era a settembre – ovvero, l’impoverimento dei mari è ormai spaventoso, fa spavento anche pensare che più di un terzo del pescato è ‘accidentale’, non utilizzabile, così, ogni giorno, tonnellate di creature come delfini e tartarughe si trasformano in spazzatura. Le coltivazioni ittiche, gli allevamenti di branzini, orate, salmoni completano questo assurdo creando nel mare quello che succede negli allevamenti intensivi a terra. Animali sofferenti, stipati, nutriti con gli scarti degli scarti, pieni di farmaci, faranno poi bella mostra dai banconi dei ristoranti o sulle nostre tavole amorevolmente imbandite a festa. (Per approfondimenti: “Il pesce è finito” di Gabriele Bertacchini – Infinito Ed.)

Greenpeace da anni si batte contro gli allevamenti intensivi raccontandoci, tra il resto, di come la Cina sia il modello per tutti con ‘moderni’ condomini infernali da 25 piani che contengono in piccole gabbie milioni di maiali immobili e dolenti, con cicli vitali brevi per contrastare malattie prevedibili. Le stesse mostruosità valgono in tutto il mondo per polli, ovini e bovini che solo nella pubblicità sono in pascoli verdi che non vedranno mai.

Se non facesse piangere davvero, farebbe ridere di gusto l’assalto che il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – grande amico e ispiratore del ministro dell’agricoltura Lollobrigida – ha fisicamente portato contro i parlamentari di +Europa che protestavano davanti a Montecitorio per il ridicolo decreto contro la carne coltivata. Prandini, Lollobrigida e tutti i loro amici, la chiamano carne sintetica, così fa più schifo, e si dicono a difesa della tradizione italiana: quella della pubblicità o quella reale?

L’agricoltura chimica insieme con gli allevamenti intensivi sono sul podio delle principali cause di impoverimento delle risorse naturali, di inquinamento della terra e delle acque, della produzione di polveri sottili, del contributo al riscaldamento climatico e della crescita di malattie gravissime anche nel genere umano. Anche per questi motivi conclamati, le ricerche nel settore dei ‘nuovi’ alimenti hanno un senso. Quello che Fratelli d’Italia e Lega chiamano “diritto alla salute” strepitando contro l’uso degli insetti nella alimentazione umana e della carne coltivata, in realtà è una battaglia per la conservazione delle principali nocività del pianeta.

La carne coltivata azzera l’uso dei farmaci nella sua produzione per via staminale in ambiente protetto, riduce l’emissione di gas serra del 98% rispetto agli allevamenti tradizionali e del 99% il consumo di acqua e di utilizzo della terra. Con i risultati ottenuti via via nella ricerca e sperimentazione, i costi del prodotto finito stanno per equipararsi a quello che Lollobrigida definirebbe cibo “identitario”. Tutto questo senza trattare la questione etica che da sola varrebbe un cambio di direzione per una produzione di carni tra tante sofferenze animali.

Saremo quindi tutti obbligati a mangiare carne coltivata per salvarci? Al quesito rispondo in danese: “Nej”. Abbiamo alternative reali? Ancora in danese rispondo “Ja” che si pronuncia “Ià”.
La Danimarca è il primo paese al mondo a lanciare un piano di azione nazionale per il consumo di alimenti vegetali “per favorire diete più sostenibili con azioni lungo tutta la filiera”.
Il ministro dell’alimentazione danese Jacob Jensen, ha dichiarato che il piano è parte dell’Accordo sulla transizione verde dell’agricoltura danese del 2021 affermando: “Abbiamo bisogno di un piano d’azione che mostri come possiamo sostenere l’intera catena del valore degli alimenti vegetali e contribuire così alla necessaria transizione. Non c’è dubbio che una dieta più ricca di vegetali, in linea con le linee guida ufficiali, aiuta a ridurre la nostra impronta climatica”. Jensen ha concluso che “La visione del governo è che la produzione e il consumo danese di alimenti a base vegetale ispirino il resto del mondo”.

I nordici ancora una volta hanno ragione. Circa i benefici di una alimentazione basata sui vegetali, anche l‘Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dice che per mantenersi in forma bisogna mangiare ogni giorno almeno 5 porzioni tra frutta e verdura.
Sono ben noti gli studi epidemiologici che mostrano come i consumi di frutta e verdura riducano la mortalità totale del 20% riducendo il rischio di malattie cardiache, ictus e diabete.
Inoltre se consumiamo prodotti biologici – Rif. studio francese (Nutri-net Santé) e Università di Harvard basata su 27.026 morti osservate – l’ulteriore protezione dalle patologie si misura in numeri a doppia cifra.
Proprio in questi giorni alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 (COP28) di Dubai, sono stati presentati i risultati di un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha valutato i benefici di sostituire gli alimenti di origine animale con quelli fatti con le piante, a beneficio del pianeta, degli umani e degli animali.

Non è vero che nutrirsi di carne sia indispensabile: ci sono interi continenti dove vige in larga parte una alimentazione vegetariana. Poi, se vogliamo rispettare la tradizione italiana, torniamo a mangiare carne o pesce una volta alla settimana, non hamburger a pranzo da McDonald e sushi alla sera in un All you can eat cinese-finto-giapponese.

E allora, buon Natale con tanto amore, molte verdure e poco cibo di origine animale.

Copertina: immagine Depositphotos

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