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La riconciliazione di Lucifero

Tempo di lettura: 3 minuti

Fantasy Bibbia: si chiamava Lucifero (portatore di luce), era un cherubino, Dio lo creò come il più glorioso degli angeli circondandolo di beni e bellezza. Poi (Isaia 14:12-14) il prediletto si disse in cuor suo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio. Salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo». Per realizzare questo ambizioso progetto politico, lassù in Paradiso, Lucifero riuscì a coalizzare un terzo di tutti gli angeli. Ma Dio, come si sa, tutto vede e non gli fu difficile sventare il piano del traditore che da quel momento chiamò Satana (l’avversario), ma anche Beliar (il senza valore) e lo cacciò insieme ai suoi cospiratori dal Paradiso ma – per sua infinita misericordia – offrendo loro una seconda possibilità: quella di stabilirsi in un altro Paradiso per riconciliarsi con la loro parte divina interiore esercitandosi nel proteggere il meraviglioso pianeta di nome Terra che li avrebbe ospitati tra le altre creature.

Ecco, io la vedo così: noi siamo tutti figli di quegli angeli e di quel Satana-Beliar (avversario-senza valore). Come lui, accecati dal nostro ego narcisistico, replichiamo all’infinito quel complotto che è, appunto, come Satana, avverso alla nostra parte divina in questo Paradiso Terrestre.

Chi mi legge converrà che questa potrebbe essere una spiegazione ‘plausibile’ (altre non ce ne sono) per descrivere l’infinito conflitto in Terra Santa. Un piccolo spazio terreno dove la storia ha originato tutte tre le religioni monoteiste (riferite allo stesso Dio che però ha tre nomi diversi) a loro volta origine di infinite guerre che insanguinano il pianeta senza soluzione di continuità. In questo contesto dove ognuno nega il diritto di esistere dell’altro, non c’è vocabolario che includa il termine riconciliazione. E la guerra continua.

Uno sguardo più laico, più scettico, o semplicemente più oggettivo potrebbe suggerire che, ammessa la storia degli angeli ribelli caduti in Terra, questi alla fine sono semplicemente degli sprovveduti egoici che continuano a perpetuare una specie che si dice Sapiens ma non ne fa una giusta, ostinandosi a non riconciliarsi con la propria essenza divina, sacra.

Se guardiamo da vicino anche i fatti nazionali distinguiamo chiaramente quella stessa ostinazione negativa. Non siamo capaci di elaborare gli avvenimenti della storia. Un’impotenza che, se non fosse tragica, sarebbe comica. Per esempio: i morti delle fosse Ardeatine sono di sinistra, quelli delle Foibe sono di destra. Una visione duale e puerile che non sa riconoscere che tutti gli eventi vanno compresi, nel senso letterale, nella responsabilità di tutti e di ognuno in uno sforzo quotidiano di riconciliazione e trasformazione.
Come dice Liliana Segre «Nessuno in Italia ha mai chiesto scusa», e si va avanti solo colpevolizzando “gli altri” sterilizzando gli eventi storici nel loro potenziale di crescita sociale.

Rimanendo entro i confini del secolo scorso, molte ferite della storia sono ancora senza cura, dolenti, infette. Le guerre, il fascismo, la resistenza e poi i cosiddetti anni di piombo. Da quest’ultimo periodo storico mai davvero elaborato con lucidità e saggezza, viene un esempio straordinario proprio da chi ha vissuto in prima persona l’apice della sciagura personale, famigliare, sociale: Agnese Moro.

Qualche mese fa Agnese Moro, a Genova, ha ricevuto dal Sindaco Marco Bucci il Premio Primo Levi assegnatole per il suo impegno nella “giustizia riparativa”; nel gremito Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, in un silenzio assoluto dei presenti, la figlia di Aldo Moro che da anni dialoga con i rapitori e assassini del padre, ha pronunciato queste parole: «Non si ripara l’irreparabile, ma abbiamo attraversato insieme i nostri inferni, io e i miei amici difficili e improbabili, i miei amici preziosi. L’incontro è stato molto importante perché, fino ad allora, vivevo in un mondo popolato di fantasmi. Al primo incontro, invece, mi trovai di fronte a una persona: fino ad allora ero circondata da fantasmi giovani, invece lì c’era un vecchio. E il dolore, ho capito, non era solo mio. La giustizia riparativa è fatta così: raccontare, rimproverare e imparare a disarmarsi, per ascoltare. E ci fa togliere le maschere: quelle che ci hanno intrappolato per decenni: loro, quelle di cattivi per sempre. Noi, quelle di vittime per sempre».

Nelson Mandela “Madiba” è stato il più grande uomo del secolo scorso trasformando il Sudafrica dopo i suoi 27 anni di carcere afflittivo e ingiusto del dominio bianco. La sua libertà è stata proprio quella di abbandonare rabbia e risentimento applicando il metodo della riconciliazione tra vittime e carnefici dell’apartheid, condividendo storie, lacrime, abbracci, gli uni con gli altri. Di nuovo, una riconciliazione che passa attraverso l’altro per arrivare a quella con il proprio cuore, la propria vita.

Agnese Moro lo spiega bene con queste parole, tornando a respirare «Noi vittime eravamo squinternati, danneggiati dal nostro dolore. Il mio unico merito è aver varcato la soglia, aver accettato di provarci dopo trentuno anni dalla morte di mio padre. Mi sono accorta, durante un incontro, che era da allora che non facevo più un respiro completo».

Copertina: Foto di Saarvendra da Pixabay

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