
Campo de’ fiori
Era ancora un vero mercato quando vi andava a fare la spesa quella ragazza poco più che adolescente. C’erano decine di banchi di frutta e verdura rigorosamente di stagione, inframmezzati da alcuni “pizzicagnoli” (salumieri) con banchi che sembravano un vero campionario di insaccati e prosciutti; uno di questi aveva anche il negozio proprio sulla piazza ma la mattina apriva lo stesso il banco. C’erano pure un paio di banchi di pesce uno dei quali era ben noto, e non solo nella piazza, ed era gestito due fratelli entrambi con i capelli rossicci e a Campo de’ fiori questo equivaleva “ar banco dei rosci”.
Fino a qualche decina di anni fa, prima dei supermercati, la piazza risuonava di voci e richiami, la maggior parte dei quali ovviamente dedicati alle donne, le vere e quasi uniche clienti. Al mercato si andava praticamente quasi tutti i giorni, niente freezer, e col tempo si creavano solidi legami banco-cliente basati su qualità, prezzo, simpatia o chissà che.
La ragazza si chiamava Sara ma per tutti in piazza era “la fija der cartolaro”; infatti il padre aveva un negozio di cartoleria a metà della vicina via dei Giubbonari. Il classico negozio di cartoleria e varie, addirittura la crema da barba sfusa venduta in un cartoccio in cui veniva poggiata con un mestolo di legno; naturalmente il pezzo forte era la cartoleria per la scuola con una enorme parete di quaderni neri con lo spessore dei fogli rosso che dovevano essere disponibili per le varie classi. Questa parete alle spalle “der cartolaro” era anche spesso motivo di irritazione per lui quando un ragazzino entrava e guardando lui e non la parete alle sue spalle, chiedeva con tono svogliato: “ce l’ate i quaderni?” (avete i quaderni?)
A Sara piaceva fare la spesa, organizzare i pasti per il padre e i due fratelli, la madre era morta quando era molto piccola ed il “cartolaro” non si era risposato. Soprattutto si divertiva ad osservare i personaggi del mercato sia dietro che davanti ai banchi. Passava sempre davanti al banco di frutta dove si muoveva un vecchietto magro magro, ormai senza capelli, dal viso smunto, forse di una ottantina d’anni che lavorava sempre senza parlare; gli dicevano di spostare quelle cassette e lui le spostava col suo passo, di radunare quella spazzatura per terra e lui la raccoglieva senza una reazione o un gesto di disagio. Sara si era sempre chiesta se fosse un parente o no, comunque tutti gli dicevano cosa fare e lui lavorava silenzioso. Addirittura una sera durante una sagra di quartiere, lo aveva lo aveva rivisto che sgombrava i tavoli dove le persone avevano cenato senza un fiato. Chissà cosa c’era nella vita di quell’uomo?
Nel muoversi all’interno del mercato, Sara passava davanti ad un banco decisamente diverso, era quello di merceria dove i due proprietari si impegnavano a richiamare l’attenzione delle clienti con grida di vario tipo il cui pezzo forte era “venite, venite, donne senza mutande”; la frase ad un orecchio normale avrebbe potuto sembrare controproducente anche se il banco vendeva intimo femminile ma nel vociare di Campo de’ fiori risultava volutamente trasgressiva.
Quella giornata però serbava una piccola perla; Sara cominciò ad osservare una donna che stava pulendo la verdura seduta su un panchetto accanto al palo del tendone che copriva il banco e davanti a sé aveva le due ceste della verdura e degli scarti. Il coltello guizzava agile ed esperto tra le mani della donna quando una piccola folata di vento attraversò la piazza scuotendo i tendoni. La verduraia fu costretta ad interrompere la pulitura per tenere con forza il palo fin quando la ventata scemò. Poi riprese il suo lavoro scambiando qualche cenno con l’altra donna dietro al banco.
Ecco però che Sara notò una nuova folata e subito volse lo sguardo verso la signora che si interrompeva e sosteneva il palo. Di nuovo calma e di nuovo ricominciava il lavoro. La giornata però non era ancora finita e sulla testa di Sara passò un’altra ventata forse anche un po’ più forte delle precedenti e lei osservò la donna che teneva forte il palo ma con lo sguardo rivolto il cielo. L’espressione era a metà tra il fatalistico e l’irritato. Mentre il vento continuava a giocherellare nella piazza attorno alla statua di Giordano Bruno, Sara udì distintamente “a Padrete’ e famme lavorà” (Dio mio lasciami lavorare) ed un sorriso si disegnò sulle sue labbra.