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Palestina 75 anni di sangue e di guerre

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Erano impressionanti le riprese dall’alto della manifestazione di Londra in favore della pace e dei palestinesi. Più di centomila persone che sabato scorso sfilavano composte lungo i ponti e i viali senza urlare slogan pro Hamas, tranne casi isolati. Ma venivano ignorati il diritto di esistere di Israele e le vittime della strage terroristica. È stata la terza dimostrazione dal 7 ottobre, giorno dell’eccidio compiuto dai terroristi musulmani. Secondo la stampa britannica regnava, seppur mascherata, un’atmosfera antiebraica. Il Times aveva riportato, tra l’altro, la notizia che ad alcuni allievi ebrei di una scuola, un’insegnante aveva raccomandato di nascondere la kippah (il copricapo circolare) con un normale berretto, per evitare guai.

Altre marce per la pace ci sono state in Italia, Germania, Belgio, Svizzera e in Francia, dov’erano vietate. A Strasburgo la polizia ha arrestato anche un rabbino che sfilava indossando la bandiera palestinese. A New York i dimostranti hanno occupato per ore il ponte di Brooklin e la stazione centrale. Nei giorni successivi in Europa si è ripresentato l’odio antiebraico attraverso scritte sui muri, attentati alle sinagoghe e altro.

A Istanbul i manifestanti sarebbero stati un milione, secondo fonti turche. Ma la sfilata era in favore di Hamas e voluta dal presidente Erdogan che il giorno prima aveva dichiarato che quei terroristi erano “combattenti per la libertà”.

La società civile occidentale si è mobilitata per la pace e questo è accaduto nel corso di tante altre guerre: per quella in Vietnam a fine Anni sessanta, le grandi manifestazioni dei giovani americani ed europei al grido di “Johnson e Nixon boia” avevano costretto il governo di Washington a trattare la fine di quel conflitto. Ancor prima altre manifestazioni si erano svolte in Francia e nel resto dell’Europa per costringere il presidente De Gaulle a trattare con gli insorti algerini che chiedevano l’indipendenza.

Viene da fare il paragone con le “masse arabe”. Cosa ha mai fatto l’opinione pubblica di quel mondo per sostenere i palestinesi? Per protestare pacificamente contro le guerre in Iraq provocate dagli Stati Uniti per vendicare l’attacco alle Torri gemelle? Cosa per mettere fine al sanguinoso conflitto tra Iran e Iraq, durato dieci anni dal 1980 al 1890?

Nel mondo arabo la protesta politica delle masse, spesso opportunistica, si riduce ai nazionalismi ottusi alimentati anche dall’Islam, una religione priva di un’unica guida spirituale, ma divisa in tante sette condotte da imam, mullah, ayatollah e altri, figure non organizzate gerarchicamente. Da quelle sette nascono le madrase, le scuole religiose che producono giovani fanatici spinti all’odio verso gli infedeli e a immolarsi come “martiri” destinati al paradiso.

Lo Stato di Israele, ormai l’unico democratico in quella grande regione, oltre la sua forza militare, dovrebbe diffondere la sua cultura, il suo progresso, il senso di umanità espresso dai suoi tanti intellettuali e dalla società civile, che criticano da tempo l’attuale governo. Invece risponde solo con le armi, con il massacro dei civili innocenti di Gaza che appare come una rappresaglia. Servirà a riportare la pace e dare inizio alle trattative che pongano fine a 75 anni di odio e di guerre?

Torniamo alla Storia e mettiamo da parte per il momento le religioni musulmana e ebraica. In Palestina esiste uno Stato, quello d’Israele, nato nel 1948 per decisione delle Nazioni Unite con la ormai storica risoluzione 181, la cui assemblea votò a larga maggioranza. È uno Stato democratico fondato in gran parte da europei su basi socialiste e sul lavoro – all’inizio molto duro – della sua popolazione.

Dall’altra parte c’è un popolo, quello palestinese, fuggito o cacciato dalla sua terra atavica, che da 75 anni vive in campi profughi in balia dei Paesi ospitanti e degli aiuti umanitari in parte sottratti dai governi o da organizzazioni come Hamas. Da sottolineare che i palestinesi rimasti in Israele, circa il 10% della popolazione totale, godono degli stessi diritti costituzionali della maggioranza.

Nel 1947 l’ONU aveva stabilito la creazione di due Stati: quello di Israele è nato pochi mesi dopo, mentre quello palestinese ancora oggi non esiste. Come è potuto accadere? Una risposta possiamo averla riconducendoci alla fine degli Anni trenta del ‘900 quando in seguito alla rivolta degli arabi, nel 1937 una commissione del Parlamento britannico aveva proposto in Palestina la creazione di “due popoli, due Stati”, ripresa poi dall’Onu.

Gli ebrei accettarono accontentandosi del piccolo territorio previsto. Invece la popolazione araba e gli Stati arabi allora indipendenti respinsero la proposta britannica e reclamarono l’intero territorio respingendo ogni tipo di trattativa. Da qui è nato il “peccato originale” che ha portato orrore e sangue in Medio Oriente.  L’incompatibilità tra le due parti provocò l’aumento della tensione che portò a scontri armati: gli arabi assaltavano i kibbutz, gli ebrei si difendevano e rispondevano con l’Aghanah, l’organizzazione paramilitare clandestina.

Gli inglesi, in difficoltà, come primo provvedimento bloccarono gli arrivi degli ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste, dalle leggi razziali italiane e da tanti altri Paesi dell’Est europeo che scimmiottavano quei due regimi.

Con lo scoppio della guerra mondiale, in Palestina tra i due popoli che si affrontavano ci fu una tacita tregua. Molti ebrei si arruolarono come volontari nell’esercito britannico per andare a combattere in Africa e in Europa contro le truppe nazifasciste.

Alla fine del conflitto mondiale la situazione nel territorio peggiorò trasformandosi in una guerra civile: gli inglesi continuarono a mantenere il blocco all’immigrazione ebraica allo scopo di placare i palestinesi, il mondo arabo e i “Fratelli musulmani”, l’organizzazione nata in Egitto nel 1928, con lo scopo di portare l’Islam al centro della vita politica e sociale. Si intensificarono gli scontri tra gruppi armati palestinesi e l’Aghanah mentre gli inglesi cercavano di reprimere questa organizzazione.

Nel giugno del 1947 infatti, arrestarono con un’operazione chiamata Aghata, 2700 ebrei tra politici, intellettuali, abitanti dei kibbutz. La risposta fu feroce: il 22 luglio membri dell’esercito clandestino fecero saltare l’Hotel King David di Gerusalemme, sede del comando britannico, dove vivevano anche molte famiglie di ufficiali. Morirono in 110 tra militari e civili. Anche gli ebrei quindi si servirono del terrorismo per appoggiare la propria causa, soprattutto contro i villaggi palestinesi: l’atto più clamoroso avvenne pochi giorni prima dell’indipendenza, il 9 aprile del ’48, quando la banda Stern – una frangia autonoma dell’Aghanah, attaccò il villaggio di Deir Yassin uccidendo più di 200 civili.  Molti israeliani criticarono duramente quell’ azione disapprovata dallo stesso futuro premier David Ben Gurion.

Il governo di Sua Maestà guidato dal premier laburista Clement Attlee, non più in grado di gestire l’ordine in Palestina, aveva già deciso di ritirare le truppe e di rimettere il Mandato alle Nazioni Unite. Così il 14 maggio del 1948 Israele diventava uno Stato indipendente immediatamente riconosciuto da USA e URSS. Si estendeva su   una lunga e stretta fascia costiera che a Nord confinava col Libano, a Nord Est con la Siria, a Est con la Cisgiordania, a Sud con l’Egitto dove la fascia si allargava nel deserto del Negev.

Gerusalemme passava sotto il controllo dell’ONU divisa tra il settore arabo e quello ebraico. Era raggiungibile dagli israeliani attraverso un corridoio in territorio neutrale. Osservando la mappa del piano ONU si nota la frammentazione dello Stato d’Israele con grandi enclave assegnate al progettato Stato arabo respinto dai  palestinesi. La nuova nazione appare assediata da Paesi e popolazioni nemiche pronte a distruggerla.

Questo tentativo venne attuato il giorno dell’indipendenza dalle nazioni della Lega Araba che attaccarono Israele. Si trattava della Siria, del Libano, della Giordania (divenute da poco indipendenti), dall’Egitto e dall’Iraq. Furono sconfitte in pochi giorni. L’intervento congiunto di USA e URSS impose l’armistizio.

Dopo quei giorni la Storia diventa più recente e più nota, un susseguirsi di atti di terrorismo e di guerre che però non ostacolarono lo sviluppo di Israele. Nel 1956 ci fu l’avventura di Suez quando paracadutisti francesi e inglesi con l’aiuto israeliano occuparono il canale che era stato appena nazionalizzato dal leader egiziano Nasser. Intervennero di nuovo USA e URSS per bloccare l’operazione. Morale: Francia e Gran Bretagna fecero una pessima figura e il premier di quest’ultima, Mac Millan, fu costretto a dimettersi. Inoltre il canale rimase bloccato per anni.

Nel 1967 ”la guerra dei sei giorni” tra Paesi arabi e Israele si concluse con la vittoria dello Stato ebraico che occupò la Cisgiordania, appartenuta alla Giordania, la striscia di Gaza, appartenuta all’Egitto, e un piccolo territorio della Siria. Il tutto ai danni dei palestinesi delle zone occupate costretti in parte a emigrare. Nel ’73 la guerra dello Yom Kippur finì con un’altra sconfitta degli arabi.

Finalmente si incominciò a parlare di pace per arrivare al riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto di Sadat. In seguito si giunse alla pace con l’Olp del 2005 negoziata dal presidente USA Clinton. La striscia di Gaza diventò uno Stato palestinese, ma la sua indipendenza era legata alla fornitura dei beni essenziali, acqua, elettricità, idrocarburi provenienti da Israele. Alla pace fece seguito l’assassinio, molto misterioso, del premier laburista Rabin, la conseguente vittoria elettorale dei partiti di destra con la loro politica dura nei confronti dei palestinesi e la nascita di Hamas.

Dopo quel lungo e pericoloso percorso si arriva ai nostri tragici giorni e non si sa come andrà a finire.

Copertina: Le mappe dell’ONU sui cambiamenti geopolitici della Palestina: da sinistra la regione con in bianco le zone con maggior presenza degli ebrei; Il piano di spartizione delle Nazioni Unite; la situazione dopo la tregua del 1949 con in basso a sinistra (in verde) la striscia di Gaza (egiziana) e a destra la Transgiordania appartenente al Regno di Giordania; infine quella attuale dopo la” guerra dei sei giorni” del 1967 con gli spazi dei palestinesi ridotti al minimo.

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