Quando gli autogrill erano dei salotti
Le parole motel e autogrill sono arrivate dagli Stati Uniti in Italia una decina d’anni dopo la fine dell’ultima guerra. Prima erano note ai pochi che conoscevano la letteratura americana contemporanea compresi i gialli di Raymond Chandler col suo eroe Philip Marlowe.
I motel, nati negli Anni trenta negli USA, venivano spesso indicati come alberghi malfamati dove si nascondevano i “cattivi”. Si vedevano anche in molti film di Hollywood (Psycho di Hitchcock ne è un esempio estremo), situati lungo le sconfinate motorway. Facevano parte dello scenario.
Per noi, abituati alle trattorie di campagna, alle locande e pensioni a basso prezzo, che vedevamo i grandi alberghi delle nostre città come luoghi irraggiungibili, quelle immagini americane sembravano appartenere a un mondo diverso, ricco, pieno di automobili, di luci, di comodità.
In Italia arrivarono grazie a Enrico Mattei, presidente dell’Eni e la loro costruzione seguiva le autostrade, man mano che venivano aperte al traffico. Erano molto più eleganti di quelli americani: i primi furono i motel dell’Agip, poi seguirono gli autogrill Pavesi e Motta che a mo’ di ponti attraversavano il tracciato. Ci furono anche gli “ostelli” dell’Automobil Club, fuori delle autostrade ma vicini ai siti monumentali, soprattutto nel Sud.
Alle porte di Firenze fu realizzata al fianco del motel dell’Agip, anche la Chiesa dell’Autostrada, una bellissima costruzione moderna progettata dall’architetto Giovanni Michelucci.
Gli autogrill erano delle opere funzionali, con grandi vetrate, dove si mangiava meravigliosamente a prezzi favorevoli. All’esterno le grandi aree di sosta fornite di distributori di carburante e assistenza tecnica, accoglievano gli automobilisti. E poi c’era l’attenzione e la bravura del personale cui era stata imposta la gentilezza verso la clientela.
Rappresentavano, insieme alle autostrade costruite dall’IRI in tempi da record, una parte dell’Italia del boom che correva verso il benessere e la modernità.
Erano unici in Europa: la Germania, con una rete autostradale nata già ai tempi di Hitler, non aveva e non ha mai avuto opere di quel livello. I posti di ristoro erano delle baracche dove ci si fermava per la toilette e per bere e mangiare qualcosa stando in piedi, soprattutto panini con i würstel. In Francia non esistevano proprio le autostrade perché quel governo aveva dato la precedenza al rinnovo delle ferrovie estendendo l’elettrificazione e dando il via all’alta velocità.
La scrittrice Simone de Beauvoir in un viaggio in Italia, rimase meravigliata per i nostri autogrill e ne segnalò la loro moderna bellezza in uno dei quattro volumi della sua autobiografia.
Probabilmente vide per primo il “Villoresi Ovest” della Pavesi, alle porte di Milano. Costruito nel 1958, fu un’icona dell’architettura moderna rinata con la ricostruzione del Paese. Ricordo bene anche quello di Licola, sulla Napoli-Pompei, dove tanti anni fa pernottai un paio di volte per visitare l’antica città distrutta dal Vesuvio e percorrere la costiera Amalfitana; ricordo anche l’ostello dell’Automobil Club nei pressi di Paestum, piccolo ma accogliente.
Durante quelle visite non esisteva ancora la massa di turisti “da selfie” che oggi invade e soffoca lo splendore e il fascino della nostra storia.
In seguito con l’aumento del turismo quelle splendide “locande” sono state ridimensionate o abbattute in modo illogico e insensato. Tra le prime fu eliminato l’autogrill Villoresi durante la ristrutturazione del tratto autostradale; seguirono la stessa sorte anche altri che sovrastavano le autostrade. Il resto è stato affidato alle “cure” di imprenditori grandi e piccoli.
I risultati negativi si sono subito rivelati con la riduzione del personale, con il cibo cattivo, la scarsa pulizia e la manutenzione dei locali, i bagni fatiscenti. Insomma anche quei simboli di modernità ed efficienza hanno seguito la costante decadenza del nostro Paese. Conosciamo benissimo l’incosciente e colpevole incuria nella manutenzione delle Autostrade “regalate” dall’IRI ai privati.
Ormai da molto tempo non mi fermo più in quei posti: il carburante costa più caro che altrove; quando si entra nel bar – non più autogrill – si è costretti a fare la coda. Le casse sono due, una in entrata per prendere lo scontrino della consumazione, l’altra in uscita per pagare i giornali e i prodotti vari esposti sul bancone prima dell’uscita. Ma la cassiera è una sola e deve dividersi tra le due postazioni.
Se poi si osserva l’esposizione del cibo, vengono mostrati tanti sandwich dai nomi stravaganti e dal contenuto di prodotti appena scongelato, che hanno un unico sapore, quello di pane stantio.
L’ultima volta che mangiai in uno di quei posti fu lungo l’autostrada della Cisa: presi una cotoletta di pollo impanata appena scongelata, accompagnata da un’insalata raccolta forse un paio di settimane prima. Sedetti a un tavolo in formica dove c’erano ancora i piatti sporchi di chi mi aveva preceduto. Il personale, presente, era intento a dialogare sui fatti propri.
Questo racconto non ha niente di nostalgico ma è pieno di rabbia per la distruzione di quei progetti realizzati per contribuire a un’Italia migliore.
Copertina: l’autogrill Pavesi Vigentina Ovest