Donald il “cattivo” torna alla Casa Bianca
È tornato il cattivo. Questa è la prima immagine di Trump che mi passa per la mente dopo aver scorso i titoli dei giornali liberal americani, europei, compresi gli italiani.
Trump è come il cattivo dei film western, ricco proprietario terriero che s’impossessa della piccola città del West di fine ottocento e che tiranneggia i “buoni”. Ma nella realtà delle elezioni del 5 scorso è mancato tra i democratici l’attore protagonista, l’eroe, il “buono” che mette tutto a posto.
Kamala Harris non ne era all’altezza: è stata catapultata come avversaria di Trump, in una delle più difficili e cattive campagne elettorali della storia americana poco più di due mesi prima delle elezioni. I notabili della Casa Bianca l’hanno scelta senza l’investitura della base del partito democratico, senza un confronto con altri possibili candidati.
È stata una scelta affrettata, dovuta anche al ritardo della rinuncia di Biden e forse anche alla mancanza di candidati autorevoli. E poi si è aggiunta una campagna completamente sbagliata, molto simile a quella delle sinistre europee, basata cioè sul non confronto con la massa degli elettori che chiedevano parole concrete, pronte a risolvere le difficoltà della vita quotidiana.
Le hanno invece trovate negli sproloqui e negli show di Trump e si sono accontentati.
È vero che con Biden l’economia degli Stati Uniti ha raggiunto progressi eccezionali, il Pil è salito al 7%, ma la ricchezza si è fermata agli strati sociali più alti.
L’America di Roosevelt. I democratici americani hanno dimenticato i tempi di Franklin D. Roosevelt, eletto nel 1932, rieletto per altre tre volte di seguito. Affrontò subito i problemi creati dalla crisi del ’29 e la conseguente grande depressione, con il New Deal, un vasto programma di riforme sociali.
Per esempio attuò subito la legge del Civilian Conservation Corps che dette lavoro a milioni di disoccupati con il rimboschimento, con la protezione dell’ambiente, la costruzione di dighe e centrali elettriche.
Inoltre col Social and Security Act introdusse per la prima volta negli USA l’assistenza sociale, l’indennità di disoccupazione e vecchiaia. Poi per evitare che la crisi del ’29 si ripetesse, fece approvare la legge sulla creazione dell’Agenzia federale per il controllo del mercato azionario.
Si impegnò anche il mondo della cultura: si occuparono della società americana, della miseria, della segregazione razziale, scrittori come William Faulkner, Ernest Hemingway, James Cain, John Steinbeck, Erskine Caldwell, William Saroyan e tanti altri.
Durante la campagna elettorale di 4 anni dopo, Roosevelt fu tacciato di comunismo dai repubblicani, ma il popolo, anche quello degli Stati più reazionari, gli dette fiducia rieleggendolo con un maggior numero di voti rispetto a quelli presi in precedenza.
Non è stato mai eguagliato dai suoi successori: il tanto decantato John Kennedy non mosse un dito contro la segregazione razziale, non impedì la guerra in Vietnam, anzi ne contribuì all’escalation.
Lo fece il repubblicano Nixon, il quale in seguito fu costretto a dimettersi per l’affare Watergate, uno scandalo che oggi appare irrilevante rispetto ai comportamenti molto più gravi di Trump.
Eppure questi è stato rieletto da un popolo che lo ha considerato vittima di una persecuzione dei democratici che pensavano di cancellarlo dalla vita politica attraverso le inchieste giudiziarie, i processi da alcuni dei quali è stato “graziato” per la benevolenza della Corte suprema i cui membri sono in maggioranza dalla sua parte.
Adesso la democrazia americana è in crisi, come avviene già in Europa e le cause vengono attribuite, anche con un po’ di leggerezza, soltanto ai partiti progressisti “guidati dalle Élite” che non sanno più parlare alle masse.
Ma come è stata possibile l’elezione di Trump, “un caso patologico”, come lo definisce Michele Serra nella sua Amaca. «Ma l’elettorato che lo vota è patologico a sua volta», aggiunge Serra.
Insomma si critica continuamente la sinistra per i suoi errori, ma non si parla mai del popolo che ha accolto il populismo, il bullismo politico; non si sottolinea l’ignoranza delle masse, l’arroganza, il razzismo, l’incapacità di affrontare con la propria mente una seria valutazione della politica.
Torno a citare l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, in Italia, e mi chiedo ancora come mai nel 2022 il 52 per cento degli elettori di quel paesino abbia votato per l’estrema destra. Almeno qui la sinistra non ha colpe.