
Le formiche guerriere e le bombe “democratiche”
Ostaggi. Mentre seguivo alla TV la liberazione, durante la tregua di Gaza, di pochi ostaggi israeliani, mi colpiva maggiormente lo squallido spettacolo che davano i terroristi di Hamas i quali, come formiche guerriere circondavano le loro prede provate dalla lunga prigionia di fame e di maltrattamenti.
È una consuetudine per i “combattenti di Allah”, maltrattare i prigionieri e non accade soltanto a Gaza. Ne fu vittima anche il giornalista della Stampa Domenico Quirico, rapito in Siria nell’aprile del 2013 dai Jihadisti e rilasciato cinque mesi dopo, grazie all’intervento dello Stato italiano.
«Sono stati 152 giorni di prigionia – raccontava Quirico in un suo articolo – piccole camere buie dove combattere contro il tempo e la paura e le umiliazioni, la fame, la mancanza di pietà, due false esecuzioni, due evasioni fallite, il silenzio di Dio, della famiglia, degli altri, della vita. Ostaggio in Siria, tradito dalla rivoluzione che non è più ed è diventata fanatismo e lavoro di briganti».
«La Siria è il Paese del Male – proseguiva – dove il Male trionfa, lavora, inturgidisce come gli acini dell’uva sotto il sole d’Oriente. E dispiega tutti i suoi stati; l’avidità, l’odio, il fanatismo, l’assenza di ogni misericordia, dove persino i bambini e i vecchi gioiscono ad essere cattivi. I miei sequestratori pregavano il loro Dio stando accanto a me, il loro prigioniero dolente, soddisfatti, senza rimorsi e attenti al rito: cosa dicevano al loro Dio?».
Di quali e quante altre sofferenze, ancora più terribili, racconteranno gli ostaggi liberati a Gaza?
Hamas, con il suo comportamento senza misericordia, ha fatto il gioco di Netanyahu, il “premier bomba” del governo israeliano il quale ha subito rotto la tregua interrompendo gli aiuti umanitari e riprendendo gli attacchi. In due giorni sono morte seicento persone con tanti bambini. È anche stato colpito intenzionalmente un ospedale.
E mentre il mondo musulmano manifesta il suo disprezzo per gli “infedeli”, a Gaza il “democratico e civile” Stato d’Israele continua a far crescere la tragica contabilità del massacro di gente inerme: 50.026 morti e 113.000 feriti, confermati anche dall’ONU. Il governo di Tel Aviv invece afferma che quei numeri sono gonfiati, come se la conferma di poche migliaia di vittime in meno assolvesse lo Stato ebraico dalle colpe di quel massacro.
Il governo israeliano ha scelto di rinunciare agli ostaggi, hanno denunciato i parenti dei prigionieri ancora nelle mani di Hamas; sono 59, ma molti di loro sono morti assassinati dai loro carcerieri o colpiti dalle bombe “amiche”.
Ormai è risaputo che Netanyahu vuole continuare con questa guerra, la più sanguinosa della storia del Paese. La pace porterebbe alla fine della sua sopravvivenza politica messa a rischio dai processi per corruzione che ormai si avviano alla conclusione. Così scrive il quotidiano Haaretz.
Perciò vuole tenere compatta la sua maggioranza che rischiava di essere battuta sul voto per il bilancio a causa delle dimissioni del leader super nazionalista del partito “Potere ebraico”, Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, uscito dalla maggioranza perché contrario alla tregua. Il suo rientro confermerà la maggioranza.
Nel frattempo Netanyahu ha licenziato Ronen Bar, capo dei servizi segreti e sfiduciato la procuratrice generale Gali Baharav Miara. Entrambi indagavano sul Quatargate, lo scandalo dei milioni di dollari provenienti dagli Emirati e distribuiti a membri del governo. Si suppone anche che nel passato quel denaro serviva per finanziare Hamas con lo scopo di eliminare l’Autorità palestinese di Gaza. Prima di riprendere i bombardamenti il premier aveva avvertito Washington e ottenuto il benestare dall’amico Trump.
La grande maggioranza del popolo israeliano vuole la pace e lo dimostra con grandi manifestazioni quotidiane che la polizia per ordine del “capo” tenta di reprimere invano con la violenza. Adesso anche i palestinesi di Gaza manifestano contro Hamas e la guerra: alcune centinaia hanno sfilato tra le macerie del territorio.
In Israele l’opposizione di sinistra si è finalmente svegliata. Il presidente dei Democratici, generale della riserva Yair Golan, nei giorni scorsi mentre migliaia di israeliani affollavano le strade, ha lanciato un appello. «Stiamo vivendo un periodo storico senza precedenti – ha detto tra l’altro – in cui il governo volta le spalle alla legge, all’opinione pubblica; un governo che si rifiuta di ottemperare alle sentenze della Alta Corte di Giustizia è illegale e pericoloso e deve essere fermato. Non bisogna avere paura, non bisogna stare in silenzio».
Poi si appella a tutti i partiti dell’opposizione: «La responsabilità è anche nostra ed è chiara. È giunto il tempo di unirci; non è più il momento per meschine discussioni politiche ma quello di costituire un fronte democratico unico, potente, stabile, determinato. Un fronte che vincerà».
Un richiamo alla democrazia come questo dovrebbe essere lanciato da tutte le opposizioni agli autoritarismi: come dai democratici americani contro il bullismo di Trump che adesso vuole prendersi la Groenlandia (forse ama giocare Risiko); come le tante nazioni europee assediate dalle estreme destre; o l’Italia dove l’autoritarismo avanza subdolamente con l’attuale governo.
Il mondo sembra impazzito: le parole nazionalismo, guerra e morte ormai dominano ovunque. Questa atmosfera ricorda tempi lontani quando l’Europa era un grande campo di battaglia. Un’atmosfera che colpì il grande pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1459?-1516), tanto da dedicarle il noto quadro dei Sette peccati capitali esposto al museo del Prado di Madrid.

Nell’opera appaiono figure che rappresentano il peggio dell’umanità, mentre nel centro domina l’immagine del Signore con la scritta in latino Cave Cave Dominus Videt , “Attenzione Dio ti vede”. In alto e in basso si leggono testi biblici in latino dei quali traduco il primo che appare attuale: È un popolo privo di discernimento e di senno; se fosse saggio e chiaroveggente si occuperebbe di ciò che l’aspetta.
Pochi anni dopo la morte di Bosh, scoppiò la Guerra degli ottant’anni che ebbe per scintilla l’Olanda la cui popolazione voleva liberarsi del dominio spagnolo.
L’uomo non impara niente dalla Storia.