Basta un filo
Ancora oggi posso dire che vivere in un borgo significa vivere all’“ombra di un campanile”. Una identità molto resistente a qualsiasi cambiamento.
Chi vi nasce e fa parte delle famiglie “autoctone” ha una partecipazione diversa da quella delle persone che vi sono “piovute” nel tempo.
Il sapere, la storia e le tradizioni offrono sicuramente uno spazio di scelta e un valore diverso al nativo rispetto al forestiero. “Gli ulivi si piantano ad almeno 7 metri l’uno dall’altro!”. E’ un vecchio sapere, ma anche un piccolo esempio emblematico, che fa scorgere scelta e valore diverso da chi ci è nato e chi invece ci è arrivato. Meno di 7 metri permettono una produzione più intensiva, ma discutibile in termini di qualità oltre che di bellezza del paesaggio. E’ una partecipazione e un legame diverso con la terra e l’ambiente.
Ma anche i legami diversi tra chi sta all’”ombra di un campanile” raccontano aspetti di differenti di partecipazione e coesione tra chi ci nasce e chi ci arriva. Ma come renderli visibili e azionabili?
Nel 1981 ad Ulassai, nella area sarda dell’Ogliastra, Maria Lai sviluppa un nuovo linguaggio che racconta il legame relazionale tra le persone, le cose e l’ambiente.
Un linguaggio che usa filo, trama, ordito e forbice per esprimere in concreto ciò che non è visibile del tempo, del ritmo e del silenzio tra coloro che abitano il borgo di Ulassai.
Maria, con 30 chilometri di nastro celeste, invita gli abitanti del borgo a tendere questo filo tra una casa e l’altra.
Dove regna un legame di amicizia e di armonia viene anche messo un pane.
Dove odio, inimicizia e anche fatti di sangue non viene messo nulla, nemmeno il filo.
Dove il legame è più forte il filo è teso, mentre dove è più debole il nastro è lasco. Il nastro poi si tende verso la montagna che domina Ulassai.
Il filo lega la propria esistenza a quella degli altri e a quella dell’ambiente che ospita. La tensione e l’oggetto caratterizzano le scelte e i valori dei partecipanti.
Perché ha funzionato? Questa forma d’arte, l’arte relazionale, non è più espressione dell’artista ma è chi vive il posto che ne diventa l’artista usando un semplice filo realizza l’opera dando i significati a ciascun filo teso e al legame che descrive nella sua ricchezza, povertà, miseria o assenza.
Oggi in Italia un italiano su 6 vive in un borgo. I legami che si creano sono il tessuto connettivo e vitale di quello spazio (in Italia ci sono 5.521 borghi circa il 70% dei comuni italiani, il 54% dell’estensione geografica del Bel Paese).
La migrazione e il turismo moltiplicano persone e legami portando anche culture diverse.
Come rendere questi movimenti di “forestieri” valore creativo e di partecipazione, piuttosto che di sopportazione, tolleranza o sfruttamento?
Noi siamo o potremo essere gli abitanti o i forestieri del borgo. Quale piccola azione senti l’urgenza di fare per aumentare la coesione e la partecipazione?
Una piccola ispirazione l’ho trovata in un podcast che parla proprio di questa esperienza.