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Il tatuatore matto

Tempo di lettura: 3 minuti

“Oggi hai sei clienti, “roba piccola e semplice” come mi hai detto di scrivere tu, ti ricordi?!” disse l’addetta agli appuntamenti con tono deciso e rassicurante.

“Sì diavolo,
Ho già tutti i disegni pronti.
Niente di particolarmente stimolante… ma vabbè.
La prima cliente mi ha fatto un po’ dannare.
Ma ora è soddisfatta.
Le tatuerò un tulipano rosso, ma come lo disegnerebbe un bambino.
Ho capito come disegnarlo, solo quando mi ha spiegato che significato avesse per lei…”

E si mise a sorridere, lasciando cadere le parole nel vuoto.

Pensò che il tatuatore è come un prete… e vige in un certo senso, il segreto del confessionale.
Chi ha un tatuaggio, se vuole, può svelare cosa celi.
Non chi lo fa.
Il tatuaggio è memoria… è prima di tutto una ferita, un dolore sopportabile e cercato per consacrare un pensiero in cicatrice.
O per lo meno, i puri, la pensano così.
Così, si mise a preparare la postazione e accese la musica nello studio.
Ogni volta il solito rito:
Immigrant Song degli Zeppelin e un caffè amaro.
Era come una sorta di immancabile overture.

Alle 14, come da appuntamento, entrò il tulipano rosso.
Rosso, per scacciare la malasorte.
Un fiore semplice, dai petali carnosi, che simboleggia l’amore equilibrato ma passionale.
E così quella donna, voleva celebrare l’ amore per sé stessa, la sua forza e tutto il proprio universo.
Era un fiore che si regalava.
Non voleva un fiore che fosse uscito da un’illustrazione di un libro di botanica.
Anzi.
Che fosse semplice, e in qualche modo dolce, senza prepotenza, felicemente imperfetto.
Perché l’amore per sé stessi non è cosa scontata.
Forse, è la forma di amore più difficile da gestire e proclamare.
Perché si è in bilico tra la celebrazione del proprio ego e l’ accettazione serena delle proprie e umane miserie.
Eppure, disegnato come lo avrebbe disegnato sua figlia, era incredibilmente evocativo e fiabesco.
La cosa difficile, era resistere… resistere a quel piccolo vizio da artista un po’ egocentrico e incontrollabile…
Pablo era fissato con le firme dei pittori nei quadri.
Lo affascinava la scelta del carattere, la calligrafia, il tratto, la posizione rispetto all’immagine rappresentata.
E se lo chiamavano il “tatuatore matto”, il motivo era legato proprio a questa sua passione.
Ogni volta che tatuava un disegno, in qualche modo, voleva renderlo unico e suo.
Voleva firmarlo come una tela, anche se la tela era pelle.
Anche se era un soggetto banale o elaborato da chissà quanti altri tatuatori, lui, doveva esserci, doveva nascondersi ma essere presente.
Logicamente, questo era infattibile quando doveva tatuare scritte o piccolissimi disegni stilizzati…
Ma per tutto il resto, i clienti di Pablo sapevano e accettavano la sua presenza nella loro pelle.
Così, si era specializzato in miniature e magie a base d’inchiostro quasi impercettibili… e che lui, non svelava mai.
Molti clienti dovevano studiare a lungo i loro tatuaggi, prima di scorgere il suo personale e sorprendente contributo…
Eppure, con quel tulipano, si sentiva sotto scacco.
Pablo percepiva una tale aurea di sacralità in quel fiore, da pensarlo inscalfibile e incorruttibile.
Il vizio di Pablo, s’imbatteva con la sua coscienza e vacillava.
Era stuzzicante pensarci, ma l’idea di riuscire a fare la solita piccola pazzia, quasi lo rattristava.
Aveva pensato di nascondersi in un pistillo del tulipano , nero e giallo acceso.
Fine, impercettibile, ma al contempo essenziale.
Ma il pensiero di essere racchiuso tra i petali di quel fiore, lo faceva sentire come un intruso irrispettoso.
Un ospite prepotente.

Chiacchierarono di cose buffe durante la seduta, mentre il ronzio ammaliante dell’ ago intriso d’inchiostro, bucava le pause di silenzio e quella pelle.

Poi… diretta ma con tono pacatamente ironico, la donna tulipano disse:
“Quindi, cosa hai deciso di fare?!?
Pensi sia casuale che abbia scelto proprio te per fare questo fiore?”
Pablo sorrise e per un attimo il ronzio della macchinetta si placò.
Si guardarono dritto negli occhi per un breve istante ma il primo ad abbassare lo sguardo, fu proprio lui.
Gli occhi verdi di lei, erano difficili da sopportare a lungo… disarmavano.
La sua forza, il suo orgoglio, la sua determinazione erano così forti e puri da non essere scalfibili… esigevano rispetto.
Che cosa assurda provare così tanta stima per una persona sconosciuta che lo aveva sfidato conscia di essere più forte di una sua mania.

“Sono felice” disse lei, osservando quel fiore eterno sbocciato finalmente sulla sua spalla.
“Sei libera” disse lui.


Copertina: una illustrazione dell’autrice del testo

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