Italo Calvino, un “eremita” a Parigi
Il 15 ottobre di quest’anno ricorre il centenario della nascita di Italo Calvino, nato a Santiago de Cuba dove il padre, ligure, dirigeva l’orto botanico di quella città. Le biografie sullo scrittore sono rare, dovute anche alla sua ritrosia nel parlare di sé. Il lungo silenzio è stato rotto da un libro appena uscito che parla di lui, intitolato Lo scoiattolo sulla Senna, una definizione che gli attribuì Cesare Pavese recensendo nel 1947 sull’Unità Il sentiero dei nidi di ragno, prima opera che scrisse all’età di 24 anni.
L’autore di questa biografia è Fabio Gambaro, giornalista da trent’anni in Francia, che ha diretto l’”Istituto italiano di cultura”. Nel suo libro descrive soprattutto i tredici anni che Calvino trascorse a Parigi, dal 1967 al 1980. Fu un periodo molto proficuo di esperienze per l’autore del Barone rampante, che arricchirono notevolmente il suo bagaglio culturale, lo stile, i rapporti con la cultura francese e contribuì a diffondere all’estero la sua notorietà.
Prima del trasferimento viveva a Roma con la moglie Esther Judit Singer, “Chichita”, una donna argentina, intelligente, colta, piena di vita che anni prima, aveva lasciato il marito (un mercante di gioielli) e Buenos Aires, portando con sé il figlio Marcelo. Approdò a Parigi dove per un certo periodo svolse lavori saltuari sino a quando non venne assunta all’Unesco grazie alla sua perfetta conoscenza delle lingue straniere.
Calvino la conobbe nel ’62 durante uno dei suoi brevi viaggi nella capitale francese. L’attrazione è immediata, racconta Gambaro che cita una lettera che lo scrittore le scrisse qualche giorno dopo: “Chichita, cara, sei la più cara ragazza che io abbia mai incontrato.” Si sposarono a Cuba lo stesso anno e in quello successivo nacque la figlia Giovanna.
Chichita però doveva fare la spola tra Roma a Parigi dove continuava a lavorare e fu questa una delle ragioni che spinsero Italo a trasferirsi. “Il marito deve sempre seguire la moglie – commentò con ironia – quindi io ho a Parigi la mia vita familiare”. Ma c’erano anche altre ragioni che lo spinsero a lasciare l’Italia. Forse la principale fu il disagio provato verso le avanguardie culturali come il Gruppo 63 un movimento che aveva osservato con un certo interesse ma che poi lo deluse portandolo a criticare la “teoria dell’illeggibilità” teorizzata dal Gruppo.
Il suo punto di riferimento restava Elio Vittorini col quale aveva avuto il “dialogo più ricco più fecondo” e condiviso l’esperienza del Menabò, libro rivista-culturale. Considerava l’autore di Conversazione in Sicilia un fratello maggiore, un punto di riferimento. Vittorini morì nel febbraio del ’66 e l’anno dopo Calvino “emigrò” a Parigi. Non andò a vivere nel famoso quartiere di Saint Germain de Prés, ma con la famiglia scelse una villetta nella banlieue, nei pressi della Porte d’Orléans dove in un’intervista della televisione svizzera si definì un “eremita a Parigi”.
Foto: Italo Calvino nella sua casa di Parigi – Fata Morgana Web