Trieste la bella, abbaini, virus e una lettura interessante
Tutto era partito una sera a cena: “Cosa fate nelle vacanze di Natale?”, “Si pensava di andare a Trieste a trovare dei nostri carissimi amici”, “Ah, che bella idea!”. Il dialogo si svolgeva tra me e l’ immancabile S. e i nostri amici milaneslampedusani L. e M.. Messi in moto i “carissimi amici” triestini per trovarci una location in cui stare per la settimana del nostro soggiorno; detto fatto: un appartamento con tre camere da letto e due bagni; l’ ideale per il nostro gruppo.
Partenza il 27 mattina con una splendida giornata di sole. L’arrivo a Trieste con la luce del primo pomeriggio è stato, come sempre, sconvolgente: i palazzi del lungomare tutti imbellettati a nuovo, la stupenda piazza dell’ Unità d’ Italia maestosa nella sua grandezza, il cielo di un azzurro intensissimo, il mare solcato da vele ci hanno dato il benvenuto. Anche la proprietaria dell’ appartamento, che, peraltro, S. ed io conoscevamo, ci ha accolto con tisane e un vinello locale niente male. Ricevute le istruzioni per caldaie, chiavi e quant’ altro e salutata la nostra ospitante abbiamo fatto l’assegnazione delle camere. Per galanteria io mi sono preso l’abbaino che ho scoperto chiamarsi così perché, di fatto, ci può stare solo un piccolo cane, il quale, essendo il soffitto bassissimo, dà delle testate suscitando, quindi, dei suoi guaiti di dolore: ho ancora delle cicatrici in testa che, mentre me le procuravo, più che uggiolii davano stura a una sequenza di parolacce che nemmeno un carrettiere maremmano oserebbe pronunciare. Alla sera cena istriana con i nostri amici triestini Lu. e G. rievocando antiche storie mentre gustavamo cibi con nomi stranissimi.
Il giorno dopo è incominciato il calvario: a turno ci siamo ammalati tutti, prima con quell’influenza che colpisce i bronchi, poi con quella che colpisce lo stomaco. Un lazzaretto che è durato praticamente sino al giorno della nostra ripartenza con, peraltro Lu. e G. che ci hanno salutato per telefono perché anche loro allettati con febbre. Io, dopo avere resistito stoicamente per cinque giorni, sono crollato proprio l’ultimo dell’anno e così, mentre gli altri se la spassavano, gozzovigliando con cibi, libagioni e danze a casa di Lu, io alternavo un pisolino a una lettura nel mio loculo di dolore. Fortunatamente il libro, che mi era stato compagno già dalla prima notte triestina, si è rivelato assai interessante.
Il libro:
“Sangue giusto” di Francesca Melandri già autrice di “Eva dorme” e di “Più alto del mare” (premio selezione Campiello) in cui si racconta di tre generazioni di una strana famiglia allargata in modo assai ampio grazie soprattutto al suo componente Attila, camicia nera in Abissinia e faccendiere nella Roma del dopoguerra. Libro molto ben scritto, con documentazioni storiche di un periodo, quello delle colonie italiane in Africa assai interessanti. Divertente a tratti e profondo in altri momenti.
Assolutissimamente da leggere.
Degli ultimi tre giorni del nostro soggiorno triestino, vi racconterò, se avrete la bontà di leggermi, la prossima settimana.
Buona lettura.