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Il Maggio francese del ’68? I giovani di oggi non lo conoscono

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Il mondo studentesco ha cominciato a riapparire dopo la rapida dissoluzione delle “sardine”, il movimento nato nel 2019 poco prima delle elezioni regionali in Emilia con lo slogan “in 6000 contro Salvini”. Il capo della Lega era certo di vincerle. Invece vinse il candidato del Pd Stefano Bonaccini grazie anche all’aiuto di quei giovani; alla loro propaganda contro il populismo e il sovranismo; all’impegno per convincere i cittadini indecisi ad andare a votare.

Dopo quella vittoria, il movimento si è dissolto: il leader Mattia Santori è entrato nel Pd ed è stato eletto consigliere alle “comunali” di Bologna; altri hanno scelto alcune liste civiche e il resto dei compagni è scomparso.

Sono tornati invece gli studenti universitari dando inizio alla battaglia per il diritto allo studio che si accompagna ad altre manifestazioni per i diritti civili. L’avversario principale è il caro affitti delle città universitarie che per ora combattono con l’arma pacifica delle tende che piantano davanti alle Università. La maggior parte dell’opinione pubblica è con loro, tranne alcuni politici della destra che dicono “alzatevi presto al mattino e prendete il treno”; “andate a lavorare come facevamo noi” e tante altre frasi terribilmente banali.

Nel frattempo sono nati altri movimenti più battaglieri come gli ecologisti di “Ultima generazione”, che imbrattano le opere d’arte, oppure quelli in difesa dei diritti della donna che alla fiera del libro di Torino hanno contestato la ministra della famiglia Eugenia Roccella impedendole di presentare il suo libro dal titolo “Una famiglia radicale”. Grave errore tattico!

Le cronache e i commenti su quegli episodi sono abbondanti e forse spingono chi ha una certa età a pensare ad un ritorno alle rivolte sessantottine del secolo scorso. La prima di queste rivolte rimasta nella Storia è stata quella di Berkeley del settembre del ’64 quando gli studenti dell’università che dista a pochi chilometri da San Francisco, si ribellarono contro la direzione che negò loro l’autorizzazione di riunirsi nelle infrastrutture del campus temendo che il loro radicalismo si trasformasse in socialismo. Fu la miccia della contestazione.

Ma in nome della Storia mi preme ricordare che mesi prima della contestazione americana, a febbraio, a Pisa la miccia si era già accesa nell’Università della Sapienza anche se lo “scoppio” arrivò più tardi. Ne fui testimone. Il malessere nelle università esisteva anche allora.  Il problema degli affitti era quasi inesistente perché il numero degli studenti era limitato e quasi tutti appartenevano a famiglie della piccola e media borghesia. Inoltre i “B&B” non esistevano.

Eppure il malessere era molto alto per motivi diversi da quelli di oggi. In quegli anni nell’Università come in tutte le scuole vigeva ancora la cosiddetta riforma Gentile imposta dal fascismo. Molti professori provenivano dal regime ed erano rari quelli che la pensavano diversamente. Inoltre tra gli studenti prevaleva la mentalità goliardica, accettata dal potere, una forma di bullismo mascherata che consisteva nel perseguitare le “matricole” del primo anno, nel metterle in mutande e fare loro altri scherzi assurdi. Una matricola in pieno inverno fu gettata nella fontana della stazione: morì pochi giorni dopo di polmonite.

Si parlava poco di politica e la maggioranza degli studenti politicizzati apparteneva al movimento neofascista FUAN. Eppure qualcosa a Pisa stava cambiando: una cinquantina di studenti “di sinistra” non sopportando più quel clima decisero di dare inizio a una protesta.

L’ispirazione venne da diverse fonti. Qualche mese prima alla “Normale”, Università di eccellenza, c’erano stati dei fermenti politici: gli studenti Adriano Sofri e Giuseppe Cazzaniga osarono aprire una vivace polemica con Palmiro Togliatti ospite per una conferenza. Alla Sapienza, inoltre, le lezioni del professor Antonio Pesenti, docente di Economia politica ed ex ministro comunista delle Finanze nel governo di Salerno del 1944, avevano fatto riflettere chi le seguiva. Erano in tanti e inoltre stanchi della goliardia che imperversava.

Un gruppo di studenti decise di occupare la Sapienza trovando per pretesto il problema della mensa che serviva cibo molto scadente. Vi aderirono anche molti “apolitici”.  Ma si parlò poco di politica e l’occupazione finì presto con una partita di pallone tra gli occupanti nel cortile del rettorato.

Però qualcosa cambiò ugualmente nell’ambiente studentesco: il bullismo goliardico scomparve e il senso di ribellione alle istituzioni tradizionali, ferme al passato, incominciò a entrare anche nelle teste degli indifferenti. Si passò presto alla insofferenza verso una scuola dittatoriale e i costumi tradizionali; verso i vecchi rapporti familiari. I giovani entrarono nella politica ma purtroppo impreparati. I grandi partiti (Dc, Pci e Psi) li ignorarono e il governo democristiano mandò contro di loro la polizia. A Roma nel marzo del 1968, gli agenti sgomberarono la facoltà di architettura occupata, a valle Giulia, e caricarono con estrema durezza gli studenti.

La contestazione si era estesa nei Paesi più progrediti dell’Occidente. Mentre negli Stati Uniti, l’esempio di Berkeley si era diffuso in tutte le maggiori università, a Parigi scoppiò la rivolta del “Maggio francese” che ebbe come leader Daniel Cohn-Bendit. Fu quasi una rivoluzione culturale, sociale, politica contro la società tradizionale, il capitalismo, l’imperialismo e il regime gollista della Quinta Repubblica. Contrariamente a quanto avvenne in Italia, gran parte dell’opinione pubblica francese solidarizzò con gli studenti, soprattutto la classe operaia: l’intero Paese rimase bloccato dagli scioperi di tutte le categorie; le manifestazioni vennero considerate la più grande protesta sociale della Francia del XX secolo.

Contemporaneamente la rivolta scoppiava anche nella Germania Occidentale dove il movimento studentesco guidato dal giovane anarchico-socialista Rudi Dutschke raggiunse una forza pari a quello francese. Aldilà della Cortina di ferro, invece silenzio assoluto.

Il mondo cambiò almeno nei costumi e nei rapporti interfamiliari: dopo gran parte dei contestatori si inserì nella società; alcuni gruppi ne rimasero fuori e scelsero altre strade, anche pericolose come il terrorismo, ritenendo che i cambiamenti erano solo superficiali. Difatti dopo tutte quelle battaglie il neoliberismo e l’imperialismo continuavano a essere i padroni del mondo e lo sono ancora.

Foto: un momento della rivolta studentesca di Parigi – Il Manifesto

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