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Israele e Libano, saranno 60 giorni di tregua?

Tempo di lettura: 2 minuti

Una Tregua finalmente tra Israele e Libano. Ma quanto durerà? Sarebbe forse troppo ottimistico sperare che duri sino alla fine dei 60 giorni pattuiti? Ventiquattrore dopo la firma, in Libano un drone israeliano ha colpito un’auto libanese e una bomba ha fatto saltare un deposito di armi. “Obiettivi militari”, hanno detto gli israeliani. Ma le tregue normalmente non prevedono il silenzio totale delle armi?

È una tregua che serve ai due acerrimi nemici – Hezbollah e il governo di Netanyahu – per prendere tempo sino all’entrata di Trump nella Casa Bianca. Non c’è alcun dubbio che al “Partito di Dio” l’abbia imposta il burattinaio di Teheran e al premier israeliano il neo presidente americano. Ma la parola pace rimane esclusa da quelle parti, dove si combatte ancora nella striscia di Gaza.

Gli unici a sperare nella pace sono i libanesi oppressi per anni dalla presenza degli Hezbollah. Dall’inizio della guerra civile del 1975 ad oggi, hanno subito per tre volte l’invasione israeliana che ha portato sempre distruzione con l’intenzione di eliminare prima la soffocante presenza dell’Olp, poi quella siriana e adesso di Hezbollah.

A subirne le conseguenze sono stati sempre il pacifico popolo libanese e l’intero Paese, un tempo ricco, laico, con una Costituzione democratica cancellata dai terroristi musulmani.

Giovedì, a 24 ore dalla “pace” i libanesi hanno festeggiato e già cominciano a rientrare nel Sud del Paese, a Tiro, nei villaggi che confinano con Israele. Ma sono subito stati bloccati per ordine di Netanyahu: devono attendere il ritiro completo al di là del fiume Litani, che dovrebbe avvenire entro i 60 giorni di tregua.

Ma c’è poco da festeggiare: l’invasione israeliana e i bombardamenti a tappeto hanno provocato circa 4mila morti tra i civili (cristiani, musulmani, copti, protestanti) e la distruzione della metà del Paese.

A questo punto il governo di Israele, una nazione democratica, dovrebbe attuare verso il Libano una strategia di ordine pacifico: distrutto Hezbollah, dovrebbe agire per riportare il Paese alla sua antica democrazia.

Ma non è questo il pensiero di Netanyahu: continuando con la politica del terrore ci saranno sempre i musulmani libanesi che pur non tollerando Hezbollah, la loro rabbia si rivolgerà contro Israele.

Sull’altro teatro, quello di Gaza, la guerra continua: un portavoce del premier ha dichiarato che «L’esercito israeliano adesso combatte su un solo fronte, Hamas deve prendere l’iniziativa e sedersi al tavolo delle trattative». Ma tutto dipende dall’Iran.

Nel frattempo nella Striscia, ai bombardamenti di Israele si sono aggiunti gruppi di predatori tollerati da Hamas che assaltano i convogli di aiuti umanitari lasciandoli vuoti. In una giornata su 107 Tir entrati a Gaza, 98 sono stati saccheggiati. I beni di consumo, la farina, il riso, l’olio sono riapparsi sul mercato nero a prezzi 100 volte più alti rispetto a prima della guerra. Il giornale Financial Times ha rivelato che anche i militari israeliani tollerano queste bande che operano nella zona sotto il loro controllo.

Tutti i mezzi vanno bene per continuare con la vendetta.

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