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Israele-Iran, un mortale braccio di ferro

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In Medio Oriente il Vaso di Pandora si è aperto e ne sono usciti tutti i mali. La colpa non è della donna alla quale, secondo la mitologia, Giove l’aveva affidato, ma di un gruppo di uomini di potere che oggi si affrontano mettendo a repentaglio le sorti dell’umanità con una lunga catena di attacchi, vendette, rappresaglie, ritorsioni.

L’ultimo atto (ma ce ne saranno altri) è stato compiuto dal premier israeliano Netanyahu con l’attacco nella notte tra giovedì e venerdì 19: dallo Stato ebraico sono stati lanciati decine di droni che hanno colpito una base militare iraniana nei pressi della città di Isfahan provocando qualche danno, senza raggiungere le centrali nucleari di quel Paese, come invece si temeva.

Israele avrebbe potuto farlo, come avvenne quando nel 1981 i suoi aerei bombardarono la centrale atomica irachena di Osirak, nei pressi di Bagdad, radendola al suolo.

Un’azione dimostrativa

Quest’ultima è stata invece un’azione dimostrativa in risposta a quella compiuta dagli iraniani sabato 13 contro il territorio di Israele come ritorsione per la distruzione della loro ambasciata a Damasco.

I droni israeliani sono stati lanciati non a caso: il 19 ricorre il compleanno dell’ayatollah Khamenei (85 anni); poi la scelta di Isfahan, una città antica e bellissima che gli iraniani definiscono la metà del mondo.

Ormai dalla guerra per procura si è passati al confronto diretto che se non fermato in tempo porterà a un conflitto più esteso. Da un lato gli Stati Uniti, protettori di Israele non sono in grado di fermare Netanyahu: non bastano i moniti del presidente Biden se accompagnati dalla premessa che gli USA resteranno sempre a fianco di Israele.

Dall’altro lato Russia e Cina, alleati dell’Iran restano in silenzio: la prima riceve da Teheran i droni che servono per la guerra contro l’Ucraina; la seconda viene rifornita in abbondanza di petrolio. E poi un conflitto in Medio Oriente serve per tenere impegnati gli Stati Uniti e i loro alleati europei.

Così Netanyahu è libero di compiere le azioni contro i palestinesi e i pericolosi raid. Le scelte aggressive del premier non dipendono da errori strategici, ma da calcoli studiati deliberatamente: la guerra gli permette di restare al potere che non vuole cedere perché sa che dopo lo aspetta una serie di processi per corruzione. Lui vuole andare avanti nella speranza che a novembre l’amico Trump diventi presidente degli Stati Uniti.

Lotta per la supremazia in Medio Oriente

Dall’altra parte l’Iran, in prevalenza sciita, segue l’obiettivo di estendere la propria influenza in Medio Oriente; allontanare gli Stati Uniti (con la speranza che alle elezioni vinca Trump); ridimensionare o addirittura distruggere Israele; intimidire i Paesi sunniti che come Egitto, Giordania, Arabia, Bahrain ed Emirati hanno rapporti con lo Stato Ebraico. Il patto di Abramo avrebbe dovuto consolidare quei rapporti, ma la strage dei civili israeliani compiuta dai banditi di Hamas lo ha interrotto.

Gerusalemme sarà completamente musulmana, è il motto degli ayatollah di Teheran che intendono portare il loro Paese a divenire l’unica potenza egemone del Medio Oriente: già i primi risultati li ha ottenuti estendendo la sua influenza sullo Yemen, la Siria, l’Iraq e il Libano. E questo obiettivo potrebbe concretizzarsi quando sarà pronta l’arma nucleare per la quale i suoi scienziati stanno lavorando.

Nel 2015 il governo di Teheran aveva firmato un accordo con gli Stati Uniti e l’Europa per limitare l’arricchimento dell’uranio in cambio della fine delle sanzioni economiche. Ma quando Trump divenne presidente cancellò immediatamente quell’accordo.

E il popolo iraniano come la pensa? Una risposta la offre la scrittrice Azar Nafisi, oggi in esilio, autrice del libro Leggere Lolita a Teheran. «La maggioranza del popolo non vuole la guerra contro Israele, come vuol far credere il regime – afferma nella sua intervista sul Corriere della Sera del 15 aprile – gli iraniani hanno già in corso una guerra interna, contro il tiranno Khamenei. Il suo sogno è quello di dominare tutta la regione, ma le democrazie occidentali lo possono bloccare interrompendo tutti gli affari con quel regime».

Concludo ricordando che il primo novembre del 1979 in Iran, a pochi mesi dalla nascita del nuovo governo guidato dell’ayatollah Khomeini, i pasdaran assaltarono l’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran tenendo in ostaggio 52 dipendenti per 444 giorni, tutti cittadini americani.

Li liberarono il 20 gennaio del 1981 subito dopo l’insediamento del Presidente USA Ronald Reagan, successore di Jimmy Carter. Quella data di novembre segna l’inizio di un terrorismo peggiore di quello dell’OLP, che ha colpito per anni la popolazione inerme dagli Stati Uniti all’Europa, per arrivare alla strage del sette ottobre 2023 in Israele.

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