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Italia: fanalino di coda dell’automobile

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L’industria automobilistica italiana, la seconda in Europa sino agli Anni novanta, si trova ormai in una crisi profonda. La Fiat, proprietaria di Alfa Romeo, lancia, Ferrari e Maserati, è a sua volta strettamente legata al gruppo Stellantis con sede legale ad Amsterdam, che controlla 14 marchi: oltre a quelli già elencati, ci sono Citroen, Peugeot, Opel, Abarth, Chrysler, Dodge, DS Automobiles, Jeep, Ram Trucks e Vauxhall. Vi partecipa anche il governo francese col 6,1%.

L’anno scorso sono state prodotte in Italia 463.000 vetture contro i 2 milioni e 220 mila del 1990. Rispetto a quell’ anno, il numero degli addetti a questa industria sono scesi a meno di 300 mila, compresi i lavoratori dell’indotto e i dipendenti delle concessionarie, cioè un quarto di quanti erano occupati nel ’90.

Giorni fa il ministro delle Imprese Adolfo Urso si è incontrato con i dirigenti della Stellantis – assente Carlos Tavares, il numero uno della società – nel tentativo di risolvere la crisi.
«Il governo ha già dato – ha affermato il ministro rivolgendosi alla controparte – e ora tocca a voi». Si riferiva agli incentivi che lo Stato ha messo a disposizione per l’acquisto di auto nuove, molto più elevati se sono elettriche.
La risposta è stata una promessa generica sull’aumento della produzione in Italia. Intanto gli stabilimenti di Melfi e di Pomigliano continuano a essere soggetti alla politica del risparmio: gli operai delle due fabbriche che nel 2019 erano circa 23.000 oggi sono circa 17.000 e a partire dal 15 aprile la società dovrebbe mettere in atto il sistema delle uscite volontarie. Alla Mirafiori di Torino si ricorre da tempo alla cassa integrazione.
Inoltre gli incentivi favoriranno tutte le Case automobilistiche straniere (europee e asiatiche) che occupano circa il 70% del mercato. Siamo ormai una colonia dell’industria straniera.

I tempi d’oro dell’auto italiana
Sono lontani i tempi d’oro dell’auto italiana, apprezzata in tutto il mondo. Negli anni del boom economico tra le industrie metalmeccaniche in grande sviluppo, primeggiava quella automobilistica. Fiat, Alfa Romeo e Lancia producevano con frequenza nuovi modelli per soddisfare un mercato in continua crescita.

La Fiat “600”, entrata in produzione nel 1955 e la “500”, presentata due anni dopo, furono il simbolo della motorizzazione di massa. Ma allo stesso tempo l’industria torinese produceva auto più grandi, più comode, più veloci, dirette alla classe media e ai ceti più benestanti.
Dalle 577 mila vetture circolanti nel 1950, si passò ai 15 milioni e mezzo del ’70 per arrivare ai 40 milioni di oggi, numero che compresi i veicoli commerciali e di servizio sale ai 50.

La competitività con le altre due Case era molto attiva: la Lancia Appia e la più grossa Aurelia – più tardi arrivò la bellissima Flaminia usata ancor oggi dal Presidente della Repubblica –  si distinguevano per le rifiniture di alto livello e per la maggior durata dei motori; l’Alfa Romeo, del gruppo IRI, uscì dalla crisi del dopoguerra prima con la “1900”, una grossa berlina sportiveggiante, poi con la Giulietta più piccola che ebbe un enorme successo a tal punto che per averla bisognava attendere più di un anno dalla firma del contratto.
E poi c’era la Ferrari con le sue auto sportive ambite dai ricchi di tutto il mondo. Infine i carrozzieri come Pininfarina, Bertone, Giugiaro, Scaglietti e tanti altri i cui designer rendevano più attraenti le auto di serie e le loro creazioni venivano richieste dalle case automobilistiche europee e americane. Tanto per la cronaca, dal 2015 la Pininfarina appartiene al gruppo indiano Mahindra.

Henry Ford ammirava le Alfa Romeo
La “bellezza” e la qualità delle auto italiane erano apprezzate sin dagli Anni venti: Henry Ford aveva detto che quando vedeva passare una Alfa Romeo, si toglieva il cappello. Nel 1922 la Lancia, aveva prodotto la Lambda prima auto al mondo con carrozzeria portante (senza telaio) e ruote indipendenti, innovazioni attuate dalle altre industrie soltanto nel dopoguerra.

Tornando alla Ford, quando negli Anni ottanta Romano Prodi ebbe l’incarico di privatizzare l’Iri, cui apparteneva anche l’Alfa Romeo, la Casa americana propose di acquistarla, ma l’allora premier Bettino Craxi si oppose. L’Alfa fu venduta, anzi regalata, alla Fiat che già aveva assorbito la Lancia, appartenuta alla famiglia Pesenti.
Il mercato nazionale dell’auto era passato nelle mani di una sola società ponendo fine alla concorrenza. Arrivò quella delle auto straniere. Oggi la Lancia produce soltanto la piccola “Y”; l’Alfa due modelli di grossa cilindrata e molto cari, che devono “combattere” contro le Audi, Bmw, e Mercedes. I top della Fiat sono la 500 e la Panda, mentre l’auto elettrica made in Italy fa ancora i primi vagiti.

È un declino incontestabile che sostituisce un passato eccezionale da ricordare ormai con ricostruzioni romantiche.

Copertina: una 500 Fiat-Stellantis

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