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Trump ha colpito: cosa farà l’Europa?

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Giorni fa, mentre infuriava la guerra dei dazi, alla Tv era apparsa sul video una signora che sorridendo tirava fuori dalla borsetta alcuni oggetti, un coltellino svizzero, caricatori per telefonini, barrette energetiche, una bottiglietta di acqua, un mazzo di carte e altro. Credendo fosse uno spot pubblicitario, avevo subito cambiato canale.

Poi ho dovuto ricredermi: Massimo Gramellini nel Caffè, la sua rubrica “semiseria” sul Corriere della Sera, spiegava che quello della signora con borsetta non era uno spot pubblicitario, ma un autentico intervento di Hadja Lahbib, commissaria europea per la parità, la preparazione e la gestione delle crisi. Illustrava, ai cittadini dell’Unione Europea, come affrontare un’emergenza per 72 ore.

Da rimanere allibiti e sconcertati: membro del “governo” europeo, era stata l’unica ad affrontare, tra risarelle, una grave crisi che incombeva sull’Europa i cui vertici sino a quel giorno avevano taciuto nonostante una guerra ai confini, una strage aldilà del Mediterraneo e una pioggia di offese proveniente da Washington e da Mosca.

La commissaria Habib, belga con genitori algerini immigrati prima della sua nascita, rappresenta un esempio di integrazione: laureata in giornalismo all’Università di Bruxelles ha fatto carriera nella Televisione presentando per anni i notiziari. È stata anche inviata speciale in Afghanistan e in Medio Oriente. 

Eletta per il Parlamento belga, è stata nominata ministro degli Esteri, incarico lasciato per entrare nell’Unione Europea dove Ursula von der Leyen l’aveva promossa commissaria. In un’intervista aveva dichiarato di non essere né di destra né di sinistra, ma una donna libera.

Per quanto riguarda i dazi, finalmente l’UE si è fatta viva e con una certa fermezza. Il giorno prima dell’annuncio di Trump del 2 aprile – che lui chiama “giorno della liberazione” – Ursula von der Leyen ha dato una risposta preventiva parlando ai deputati europei: «Valuteremo attentamente gli annunci (del presidente USA) per calibrare la nostra risposta. Non abbiamo iniziato noi questo scontro e non vogliamo necessariamente ritorsioni ma abbiamo un piano energico per farlo se ne saremo costretti».

«Abbiamo molte carte in mano – ha proseguito – e la nostra forza si basa sulla nostra fermezza ad adottare le contromisure la cui documentazione è pronta».

Ha sperato sino all’ultimo su un ripensamento di Trump dimostrando di averlo sottovalutato. Invece l’autocrate in erba di Washington nella notte tra mercoledì e giovedì non ha mutato una virgola delle sue intenzioni.

Così i dazi sono scattati e vedremo quale sarà la “documentazione pronta” dell’UE, se esiste realmente. Secondo voci provenienti da Bruxelles il “pacchetto” delle ritorsioni sarà pronto tra poche settimane e primo ad essere colpito sarà il Big Tech, il gruppo delle grandi multinazionali americane che dominano sul mondo dell’informatica e che in Europa pagano tasse irrisorie.

Se dipendesse da me, incomincerei dalla chiusura dei McDonald’s i cui cibi, tanto pubblicizzati negli spot televisivi, non vanno d’accordo con la dieta mediterranea.

E la Meloni che cosa farà? Sino al giorno prima raccomandava di «Abbassare i toni e scongiurare un’escalation che sarebbe dannosa per tutti». Ha sperato sino all’ultimo nell’”amico” Trump che avrebbe guardato all’Italia con occhio favorevole. Millantava di essere il “ponte” tra Europa e Stati Uniti, mentre in realtà non era neanche una passerella. Dopo il crack della Borsa ha commentato: «È un errore ma non la catastrofe».

È stata l’unico capo di governo europeo a non essere ricevuta ufficialmente a Washington per trattare sui dazi. È stato accolto persino il premier finlandese che poi Trump si è portato dietro a giocare a golf. L’unico onore riservato alla Meloni fu l’invito alla festa per l’insediamento del presidente anche se venne tenuta come una comparsa nelle ultime file dello spettacolo.

Facciamo un po’ di conti: l’UE esporta verso gli USA merci per 589 miliardi di dollari e ne importa per 378; la Cina ne esporta per 427 contro 148 importati. La bilancia sale sempre in favore di altri Paesi come il Canada, il Messico, il Giappone e la Corea del Sud.

L’Italia da sola esporta per 73,7 miliardi contro 28,8. I maggiori prodotti inviati negli USA sono gli autoveicoli, farmaceutica, alimentari, chimica, bevande alcoliche. La Meloni ha già dato il via a una “task force” per affrontare i problemi creati da dazi: ma non vi partecipano importanti economisti, solo membri del governo, tra i quali c’è anche il ministro Lollobrigida. Siamo a posto!

Non serve elencare le varie percentuali dei dazi imposte da Trump, sono quelle già rese pubbliche da giorni sui media di tutto il mondo. Ma incuriosisce il tabellone che il presidente ha presentato durante la conferenza stampa sul quale risultano anche le cifre che gli USA pagano già per le merci esportate: per esempio quelle dirette in Europa il 39%, in Cina il 32%.  Ma gli economisti le considerano il frutto di calcoli approssimativi per i quali “verrebbe bocciato anche uno studente di scuole medie”.

Già si facevano pronostici negativi sul futuro dell’economia USA: «Ci sarà una recessione, la disoccupazione salirà al 7%, il Pil calerà all’ 1,7%», aveva dichiarato Mark Zandi un analista di Moody’s. Poi la sera di giovedì è subito arrivata la risposta con i risultati delle Borse che davano il crollo del dollaro e una perdita di 2500 miliardi.

Sarà quindi l’economia reale a stabilire quale sarà il futuro, ma il riferimento al passato è già una risposta: dopo la prima guerra mondiale gli USA si chiusero in un rigido protezionismo e la conclusione fu la crisi del 1929 che portò miseria anche in Europa e una seconda guerra mondiale.

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