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I ragazzi hanno grandi sogni, anche a Lampedusa

Tempo di lettura: 2 minuti

Sono più di vent’anni che ogni anno vengo a Lampedusa e sono vent’anni che, i miei amici di Milano, mi danno del matto perché vado in un’isola famosa per essere la meta dei migranti dell’ Africa del Nord e, soprattutto, di quella Subsahariana; a loro ho sempre risposto che si vedono più uomini di colore davanti alla Stazione Centrale o in piazza del Duomo che non per le vie di Lampedusa.
Qualche volta, si intravedevano i resti di qualche imbarcazione sfasciata sugli scogli ma questo era quanto.

Questo sino a ieri, quando il capitano della barca su cui stavamo viaggiando non ha incominciato ad avvistare dapprima uno, poi un numero sempre crescente di questi barchini (quelli nella foto ne sono un esempio). Sembrava una colonna di formiche che si dirigesse verso l’isola. Impressionante!
Impressionante soprattutto se si pensa che ognuno di quei puntini contenevano, quaranta, cinquanta esseri umani stremati dalla sete e dalla fame. La cosa che poi mi ha stupito quando siamo tornati in porto è che i barchini erano fatti in serie: costruiti con lamiere di ferro saldate con qualche punto di saldatura che le tenesse insieme e poi stuccate nelle giunture con del silicone (quello che noi usiamo per rendere impermeabili i nostri sanitari), nessuna chiglia, per cui il minimo movimento ondoso le può far ribaltare; la forma di una suola di una ciabatta araba con la punta in su. Costo per persona dai 500 ai 1000 euro, sconti per famiglie e riduzioni per i bambini : una vera industria con guadagni al mille per cento.

Alla sera, a cena, sono partite, ovviamente, tutte le possibili soluzioni al problema: si andava da blocchi navali con portaerei, cacciatorpediniere e anche Jig Robot d’acciaio a “se dai un pesce non risolvi la situazione ma se dai un amo ed insegni a pescare allora…“. Io, sinceramente, sono stato zitto perché, preferisco evitare di dire banalità o scemenze di fronte a cose di una portata così devastante. L’ unico consiglio che mi sono sentito di dare a quelli che maggiormente si accanivano non contro i trafficanti ma contro quei poveri esseri che scappavano da fame, guerre e vera povertà, di andarsi a leggere un libro autobiografico di uno di questi dimenticati dal mondo e da Dio.

Si tratta di “I ragazzi hanno grandi sogni“ di Alì Hesani e Francesco Casolo.
Il libro, autobiografico, racconta l’ odissea, durata anni, di Alì che, rimasto orfano a otto anni, fugge con il fratello maggiore dall’ Afghanistan dei talebani per arrivare in Europa. Attraverserà l’Iran e, in mezzo a mille peripezie, giungerà in Turchia dove perderà il fratello che nel suo tentativo di attraversare via mare ci lascerà la vita. Rimasto solo finirà di raggiungere l’Italia viaggiando sotto lo chassis di un camion. Arrivato nel nostro paese verrà spedito in un centro per rifugiati, a Roma, dove riprenderà gli studi interrotti in patria. Sfuggendo alle tentazioni di suoi compagni che lo vorrebbero coinvolgere in situazioni losche, finirà per laurearsi in legge, dando poi supporto legale a persone che come lui sono fuggite da situazioni terribili.

So che, di tutte quelle persone viste oggi sul molo del porto di Lampedusa, solo poche avranno lo stesso lieto fine di Alì ma, almeno questa sera, fatemi sperare che la maggior parte di loro riesca ad ottenere almeno un po’ di pace e di dignità: se la meritano.

Copertina: foto di Orlando Roversi ripresa in questi giorni a Lampedusa

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