
La primavera delle parole
La Primavera è arrivata e con lei la voglia di uscire dal letargo, riprendere le attività all’aria aperta e trascorrere più tempo in compagnia dei nostri amici: quando la natura si sveglia, in qualche modo ci invita a fare altrettanto. Questa nuova rinascita può rappresentare il momento ideale per chiederci che cosa desideriamo seminare, e coltivare, in questa nuova stagione della nostra vita.
Ognuno potrà trovare la propria risposta, ma io vi offro l’invito di seminare, per poi nutrire, le nostre parole: parole scelte con cura, che possano fiorire nei pensieri e nelle relazioni, parole che nutrono e creano connessioni, invece di ferire o appassire nel non detto.
Perché ciò che diciamo – a noi stessi e agli altri – è il seme da cui germoglia la nostra realtà.
Ormai è risaputo, le parole sono più di semplici strumenti di comunicazione: esse creano la realtà in cui viviamo. Attraverso il linguaggio, diamo forma ai nostri pensieri, costruiamo le nostre relazioni e tracciamo il nostro cammino, siamo noi i narratori della nostra vita. Se ci descriviamo come fragili, sfortunati, bloccati, è così che inizieremo a percepirci. Se invece impariamo a dire che siamo in cammino, che ogni errore è un’esperienza, che ogni sfida è un’opportunità, allora il nostro sguardo sul mondo cambierà. La qualità delle nostre parole definisce la qualità del nostro mondo interiore e delle nostre relazioni. Ma quanto siamo consapevoli delle parole che scegliamo?
Alcune fioriscono, altre pungono. Alcune scaldano, altre gelano. Nella loro leggerezza o nella loro pesantezza, lasciano sempre un segno. Spesso parliamo senza pensarci, rispondiamo di getto, riempiamo silenzi con parole vuote, come se il linguaggio fosse solo un ponte da attraversare in fretta e non un giardino da coltivare.
La primavera ci insegna qualcosa di essenziale: il tempo della fioritura è sacro. E se imparassimo a trattare il nostro linguaggio con la stessa cura? A scegliere parole fiorite, che siano un invito alla bellezza, alla comprensione, alla connessione?
Come se non bastasse, viviamo nell’epoca della risposta immediata: messaggi, e-mail, notifiche che chiedono attenzione costante. Ma se ci soffermassimo di più? Se, invece di scrivere di fretta, scegliessimo le parole con attenzione, come si sceglie un dono? Se ascoltassimo con più cura, non solo il contenuto, ma il tono, le sfumature, l’intenzione dietro a ogni parola? E ancora, se invece di offenderci perché un amico tarda nel risponderci, provassimo ad essergli grati perché ha atteso il momento giusto per farlo?
La poetessa Emily Dickinson (E. Dickinson, Poesie, a cura di G. Errante, Mondadori, 1959) in una sua poesia:
“Una parola è morta
quando è detta,
c’è chi dice così.
Io dico invece
ch’essa comincia a vivere
proprio quel giorno.”
E allora forse dovremmo chiederci: che vita vogliamo dare alle parole che pronunciamo? Che vita vogliamo donare a coloro che odono le nostre parole?
Forse possiamo iniziare con un piccolo esercizio: prima di rispondere a un messaggio, a una e-mail, a una richiesta, facciamo un respiro. Chiediamoci se le parole che stiamo per scegliere sono quelle giuste, quelle che vorremmo piantare nel cuore dell’altro e nelle nostra realtà. E magari, ogni tanto, mentre pratichiamo un ascolto attivo e presente possiamo interessarci e chiedere a chi ci sta di fronte: “Perché hai scelto proprio questa parola per raccontarmi questo?”
Perché le parole, come i fiori, hanno radici profonde. E scegliere con cura il nostro linguaggio è un atto di attenzione, di rispetto, di amore. Per noi e per gli altri.
Infatti, le parole possono essere muri o punti, creatrici di possibilità o gabbie mentali: perchè non inserire qualche condizionale in più per abbandonare certezze e definizioni nelle quali incaselliamo noi stessi e la nostra realtà? Il dubbio, crea la possibilità. Anche quella di poter essere diversi, di poter cambiare, evolvere e trasformarci, ma anche la possibilità di poter esprimere ogni parte di noi, nella complessità umana che ci caratterizza e ci rende fonti di infinita meraviglia.
E infine, ricordiamoci di non temere mai i silenzi, ma di accoglierli con gratitudine, perchè essi sono la culla del tempo della riflessione, del sentire, dello stare in ascolto reale e profondo con tutti i nostri sensi. Un ascolto che include noi stessi, tutti gli esseri a noi vicini e la realtà che ci circonda.
Vi lascio qualche semplice spunto, per usare parole più ricche e consapevoli, attraverso alcune semplici abitudini quotidiane:
– leggere, lasciandoci nutrire da parole nuove e diverse;
– scrivere un diario o le nostre riflessioni, cercando di raccontare le esperienze e le emozioni con espressioni quanto più precise;
– sperimentare sinonimi, per evitare ripetizioni e affinare il nostro linguaggio;
– ascoltare con attenzione, facendo caso alle scelte linguistiche altrui;
– abbandonare la fretta e praticare la lentezza nel parlare e nello scrivere, per dare spazio alla scelta consapevole delle parole.
Buona fioritura!