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Parole inafferrabili che non si adeguano

Tempo di lettura: 3 minuti

Le parole inafferrabili non sono vocaboli.
Le parole inafferrabili raccontano limiti e potenzialità che abilitano l’uomo.
Le parole inafferrabili permettono ma non fanno. Danno facoltà.
Sono attuali nel nostro mondo ma, proprio perché inafferrabili, danno uno stimolo che spesso non giunge agli altri non creando del significato e tantomeno sapere.
La trasmissione o la ricezione è inadeguata, disturbata, inefficace.
Le parole inafferrabili non riescono a superare la “normalizzazione”. Non entrano nel segnale che occupa la traccia del canale scelto. Rimangono nel rumore che non viene capito.

Normalizzare è generalizzato

“…We are all humans and we are all part of the human tribe…” (…Siamo tutti umani e siamo tutti parte della tribù umana…) dice Jorit, il trentenne street artist partenopeo che ha chiesto e fatto una foto con Putin al Festival mondiale della Gioventù di Soči all’inizio di marzo.
Dichiarazione non banale e ricca di spunti che fa emergere un futuro da coltivare.

Nella foto, Jorit è insieme a Putin e ad un giovane Africano. Vengono tutti bene. Su Instagram o qualche altro social media trasferiscono un significato.
Ma siamo noi a riceverlo!!!
Ma sappiamo quanto siamo “normalizzati” nella ricezione oltre che nella trasmissione?
Nella foto vedo volti di umani diversi. Beh, intanto cosa c’entra Putin con Jorit e con il giovane Africano? Ma mi voglio focalizzare solo sui primi due.

Due facce della stessa “Tribù umana”, una più vecchia e una più giovane, una bionda e una bruna.
Uno fa murales, l’altro governa e fa guerre.

Uno da dignità a chi vive nell’isolamento di quartieri cittadini, l’altro fa recludere, separare, combattere, sopprimere.
Uno fa bene, l’altro male alla tribù degli umani.
Uno umanizza, l’altro de-umanizza.
Sono umani anche se non si assomigliano.
Capisco che la “normalizzazione” del mio segnale è in parte diversa dalla tua. “Umano” e “Tribù umana” sono parole che non si riescono ad afferrare.

Uso il mio margine di scelta per superare il pericolo di una singola storia

Quando un segnale è “normalizzato” siamo nel regno incolore e mono-dimensionale in cui è esercitato un controllo sociale, volto ad uniformare l’agire ed il pensare umano. Può anche essere autocontrollo!!!
Uno degli aspetti della “normalizzazione” è il potere della “singola storia” con tutti i suoi errori, pregiudizi e stereotipi.

La mia prima reazione alla fotografia di Jorit con Putin (o viceversa) è stata di pancia o meglio “emotiva” e ho confuso i due volti in uno solo. Ho avuto una reazione di grande “fastidio”, di “giudizio negativo”.
Poi mi sono fermata, ho riflettuto e mi sono domandata “Cosa c’entrano questi due?”. Ho cominciato a far funzionare il mio secondo cervello quello analitico e razionale.
Ho cercato delle info in rete e ho potuto dare profondità all’immagine, trovando la domanda che il giovane Jorit ha posto a Putin quando gli ha chiesto di fare la foto e la relativa risposta di Putin. https://tg24.sky.it/mondo/2024/03/08/russia-jorit-putin

Ho pensato che il segnale che mi era arrivato era appiattito e sommerso dal grande rumore dei canali di trasmissione, dalla frammentazione dell’informazione, dalla mia educazione e dei suoi condizionamenti, dalle mie esperienze…Quanto ci rende vulnerabili leggere nella prospettiva di una sola singola storia, quella della nostra tribù, trattando gli altri come una solo singola cosa?
Lo spiega molto bene la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozie Adichie. https://www.youtube.com/watch?v=D9Ihs241zeg

Prendere atto del fatto e leggerlo necessita di superare le etichette mentali che gravano sulle persone trovando anche i punti di somiglianza oltre che di differenza. Un chitarrista in sedia rotelle è pur sempre un chitarrista anche quando è di fronte a un chitarrista normo-dotato!
Il pregiudizio con cui classifichiamo la persona (E’ uno dei nostri! C’è feeling! E’ un po’ come ero io da giovane!) ci mette solo da una parte.

Il non fidarsi troppo delle prime sensazioni, l’aprire un dialogo costruttivo dando “voce” alle persone, aiutano ad avere molta e molta meno percezione del pericolo e molta più creatività a favore della “Tribù umana”. Le statistiche dicono 30% in meno di pericolo e 20% in più di creatività!!!
Ciò che serve per far emergere un migliore futuro.

Umanità degli esseri umani

Quando ho sentito la domanda giovane ed attuale di Jorit, mi è venuta in mente una frase che le fa da cornice emblematica: “L’Umanità cessa alle frontiere della tribù, del gruppo linguistico, talvolta del villaggio”.
E’ una frase di Claude Levi-Strauss, nel sua opera “Razza e storia”. Levi-Strauss era un antropologo e filosofo dello scorso secolo che per sopravvivere essendo “perseguitato” dalle leggi “razziali” è dovuto “migrare”.
Chi includiamo nella nostra “Tribù umana”? Quale “Umanità” come facoltà vogliamo esprimere?

Chiudo con una chicca dell’Intelligenza Artificiale (IA)! Ho scoperto un sito che permette di valutare l’uso inclusivo delle parole grazie all’IA (https://takegroup.it/inclusive-talk/).
La frase di Jorit sarebbe stata del tutto inclusiva se fosse stata espressa nel seguente modo: “…Siamo tutti esseri umani e facciamo tutti parte della famiglia umana…”

L’IA mi ha comunicato che “- Ho sostituito “tribù” con “famiglia” per evitare l’uso di un termine che potrebbe essere considerato offensivo o inappropriato, in linea con le linee guida DEI (Diversità, Equità ed Inclusione)”.
Aiuta a riflettere!!!

Copertina: Lo street artist Jorit abbraccia Vladimir Putin in Russia – Virgilio Notizie

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