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Parole inafferrabili da corpi non vedenti

Tempo di lettura: 3 minuti

Ieri sono stata attratta da un articolo scritto da una madre single cieca che in modo coraggioso raccontava come alcune parole sono inafferrabili a causa della sua mancanza di visione.

Frasi come “E’ là” o “E’ sopra quello” o anche più precisamente “Vicino alla scala”, sono inafferrabili per chi non ha capacità di vedere e sapere dove il dito o lo sguardo indicano o dove è la scala, se si è per la prima volta in uno spazio.

Anche parole semplici quindi non hanno significato soprattutto perché il nostro linguaggio di gesti e di parole presuppone che tutti i sensi siano attivi e in particolare la visione.

Corpi che non vedono

Le nostre relazioni ed esperienze con il mondo si realizzano in molti modi. Parlare e fare gesti sono tra i più comuni ed importanti. Essi rappresentano il nostro veicolo base per lo sviluppo anche della nostra cognizione.

Quando siamo piccoli valgono principalmente i gesti: le manine tese del neonato sono un esempio. Ma man mano che cresciamo ci esprimiamo con le parole che sostituiscono o complementano i gesti.

Ma quando un corpo non vede il mondo di mezzo dello spazio e della gestualità bisogna trovare altre parole e gesti per percepirlo.

C’è una diversa conoscenza e uso del linguaggio. Un neonato cieco ha le gestualità che servono la sua sopravvivenza. I problemi più grandi si presentano dopo.

Ci vuole una certa cura per descrivere a persone non vedenti concetti che per noi sono banali, ma sono in realtà supportati dalla visione.

La nostra madre single cieca e molto coraggiosa, dà alcuni consigli come frammentare e dettagliare un percorso per definire il “là” partendo da lei, persona non vedente (il mio là è sopra al mobile della cucina che si trova di fronte alla persona non vedente a tre metri e leggermente a sinistra).

Le persone che non vedono esplorano lo spazio non attraverso la visione ma il tatto, si riferiscono allo spazio riferendosi a sé e non all’insieme, devono frammentare la descrizione dei percorsi, indicare maggiori punti di riferimento e metterli in sequenza perché ovviamente non hanno una visione spaziale olistica, d’insieme.

La parola ben articolata e focalizzata risolve il problema. Anche i gesti ben descritti aiutano. Le persone non vedenti hanno bisogno di integrare nel linguaggio la visione.

Linguaggio e visione

La visione nel cervello umano occupa circa 4 volte la quantità di neuroni necessaria per il linguaggio.

Anche lo sviluppo tecnologico ne ha riscontrato la complessità e il costo energetico. Almeno fino all’applicazione alla visione del deep learning una decina di anni fa. (Il deep learning addestra il computer ad eseguire attività in maniera simile a quella umana (chatGPT ne è un esempio per i testi, la musica e le immagini).

Ora la visione delle macchine è prossima a quella degli uomini. Hanno appreso dall’esperienza! Stiamo vedendo i primi accenni alle integrazioni delle due modalità (linguistica e visione), e ai primi addestramenti. Chissà cosa accadrà?

Ma per chi usa solo il linguaggio perché non ha la visione? Beh. E’ tutta un’altra cosa e le persone non vedenti lo dimostrano. L’intero universo concettuale dell’uomo ha una controparte linguistica e questa è una fortuna per le persone non vedenti.

La nostra madre single cieca e coraggiosa direbbe che le parole che descrivono lo spazio, il mondo attorno a noi, sono uniche e sono diverse da persona a persona e dal loro contenuto informativo. Un tesoro infinito!

Imparare a costruire una descrizione verbale breve, chiara per chi non ha una visione spaziale rende possibile la visione anche a chi non l’ha: “Language matters when sight is lost”- “La lingua conta quando si perde la vista”.

In fin dei conti è l’esercizio che ci viene chiesto anche nei “prompt”, stimoli, per attivare ChatGPT e in generale dall’intelligenza artificiale generativa.

Grazie a Loretto che mi ha suggerito senza volere il tema di questo articolo.

Copertina: immagine Depositphotos

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