La Belle époque di Beirut è ormai un sogno
Come era previsto l’esercito israeliano è entrato nel Libano con i suoi carri armati. “Sarà un’operazione limitata”, ha detto Netanyahu. Lo aveva detto nel 1982 anche il premier di allora, Menahem Begin, ma in pochi giorni il suo esercito arrivò sino alle porte di Beirut e la assediò per mesi privandola di acqua e di elettricità.
Allora il nemico da battere era l’Olp di Arafat, un’organizzazione laica; oggi sono gli Hezbollah e Hamas che combattono nel nome di Allah e di Khamenei.
Un’altra violazione del povero Libano risale al luglio del 2006, quando ormai Hezbollah si era impadronito del Paese. L’attacco israeliano fu una rappresaglia dopo che i terroristi, superato il confine, avevano attaccato una pattuglia di militari uccidendone cinque e prendendone in ostaggio altrettanti.
Quello di Israele fu un attacco in larga scala con intensi bombardamenti aerei che colpirono la capitale, l’aeroporto, centrali elettriche, ponti. Ci furono migliaia di morti tra i civili e circa un milione di persone fuggì in Siria.
Grazie all’intervento dell’ONU, che allora aveva ancora voce in capitolo, il conflitto terminò il 16 di agosto col ritiro delle truppe israeliane. Ma gli Hezbollah restarono i padroni del Libano.
Oggi il dramma di questo Paese, “territorio delle guerre altrui”, come avevo già scritto mesi fa, si ripete e non si sa quando finirà.
Disperazione
«Cosa dobbiamo fare? – aveva detto ai primi di agosto a Repubblica la scrittrice libanese Alawyah Sobh – non siamo stati noi a chiedere questa guerra. A volerla sono gli estremisti religiosi di un colore o dell’altro. Noi, le persone normali, siamo vittime innocenti di una regione in mano agli estremisti che non hanno senso di umanità».
«Con la mia età – prosegue – posso ricordare il Libano di prima della guerra civile. Era bellissimo, un posto unico dove musulmani e cristiani vivevano insieme».
Si riferisce a 50 anni fa, a un passato di pace, di benessere, di convivenza, dovuto a una Costituzione nata nel 1943, che regolava i rapporti tra la popolazione, permettendo di partecipare alla conduzione dello Stato a tutti i rappresentanti delle varie etnie, delle religioni, dei partiti politici.
Era l’epoca del Libano chiamato anche la Svizzera del Medio Oriente, un Paese ricco la cui bellissima capitale, Beirut, aveva assorbito il meglio della cultura europea e orientale. Alle due lingue ufficiali, il francese e l’arabo si mischiarono tanti altri idiomi e culture provenienti da ogni parte del mondo.
Il Libano era sempre stata un’eccezione in Medio Oriente anche quando apparteneva all’Impero ottomano. I libanesi, in maggioranza discendenti orgogliosi degli antichi Fenici, poi divenuti sudditi dell’Impero romano, dal Medioevo in poi conservarono importanti rapporti soprattutto con le Repubbliche di Genova e Venezia che vi avevano aperto banche e rappresentanze commerciali. Sino al secolo scorso l’Italia è stata il primo partner commerciale.
I tempi della pace
Anch’io ricordo la Beirut dei tempi migliori, quando ero un giovane giornalista: vi fui inviato dal settimanale Tempo nel luglio del 1973, qualche settimana dopo che un commando israeliano, sbarcato di notte sul lungomare, aveva assalito la sede dell’Olp con l’intento di far fuori Arafat. Ma non lo trovarono, era in Tunisia.
Avevo il compito di fare un reportage, di scrivere su Beirut e i suoi abitanti. Temevo di trovare tensione in tutto il Paese: sbarcato dall’aereo l’unica presenza militare era un’autoblindo ferma ai margini della pista. Nel salone degli arrivi alcuni agenti e tanti passeggeri di tutte le nazionalità. “Bienvenu au Liban”, mi disse con un sorriso il poliziotto che timbrò il passaporto.
Il taxi mi condusse in centro percorrendo la Corniche, il lungomare che ricordava benissimo quello di Cannes o la Promenade di Nizza: l’influenza dell’amministrazione mandataria francese (1919-1943) si notava dallo stile dei palazzi tardo liberty e razionalista.
L’Hamra, il corso principale, era paragonabile a una via Condotti di Roma o Montenapoleone di Milano: negozi di grandi marche, gente elegante, tante auto di lusso. Cambiava l’aspetto delle costruzioni, più antiche, che rispecchiavano lo stile arabo musulmano.
Rimasi in Libano per una settimana e Beirut si fece conoscere come una città evoluta, col benessere diffuso, aperta a tutto, alla Cultura, ai divertimenti e anche alla dolce vita.
I due grand Hotel, Saint George e Phoenicia, entrambi sulla Corniche, erano i più lussuosi ed esclusivi: ospitavano la nobiltà europea, sceicchi, emiri, miliardari, attori famosi, registi, anche ricchissimi mercanti di armi, capi delle mafie internazionali e latitanti pieni di denaro.
Tra questi vi soggiornò nel 1967 Felice Riva, giovane proprietario dell’industria tessile Vallesusa condannato in Italia a sei anni per bancarotta fraudolenta. Venne estradato dopo anni. Più di recente si era rifugiato nel 2014 anche Marcello Dell’Utri, ma per breve tempo perché fu rimandato in Italia.
Beirut era anche un luogo di spionaggio: la mia accompagnatrice dell’ufficio stampa del governo mi mostrò in un angolo della piazza principale, l’antica Place des Canons, una palazzina in stile moresco. Vi aveva vissuto per anni Kim Philby, la spia britannica dell’MI6, che in realtà spiava per il KGB sovietico. Riuscì a fuggire a Mosca poche ore prima dell’arresto.
Nel ’75 tutto questo finì quasi all’improvviso con lo scoppio della guerra civile, un conflitto della durata di 15 anni che distrusse Beirut e l’intero Paese, con la morte di 150 mila persone.
I primi problemi per il Paese iniziarono con l’arrivo di migliaia di palestinesi, fuggiti dalla Giordania dopo il tragico Settembre nero del 1970. Re Hussein cacciò Arafat e le milizie dell’Olp dopo giorni di guerriglia, perché temeva, a ragione, che l’organizzazione palestinese volesse impadronirsi del potere.
Ai primi degli Anni Settanta, cominciarono gli attriti con governo e società libanese che portarono a un crescendo di incidenti e scontri armati. I palestinesi avevano creato uno Stato nello Stato, mettendo in pericolo l’equilibrio del Paese.
La guerra civile durò 15 anni e Beirut fu ridotta in macerie. Venne ricostruita in breve tempo dando spazio a una grande speculazione edilizia. Una selva di grattacieli sommerse l’antica immagine della città.
Da quei giorni in poi il Libano continua a passare da una tragedia all’altra e quanto accade oggi rappresenta un nuovo atto. Ma chissà se sarà l’ultimo.