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Il comunista di Guido Morselli alla radio

Tempo di lettura: 3 minuti

Venerdì 13 dicembre si è conclusa su Radiotre la lettura de Il comunista di Guido Morselli, un romanzo di grande respiro e profondità. Le pagine scelte, diciotto puntate di circa venti minuti ciascuna, sono riascoltabili su Raiplay Sound nel programma Ad alta voce.

Nel 1964, quando Morselli lo sta scrivendo, il mondo è in fermento. La morte di Kennedy e di Papa Giovanni XXIII, la destituzione di Chruščëv e l’avvento di Breznev alla segreteria del PCUS segnano la fine della distensione. In Italia il boom economico sta cambiando la vita e l’aspetto del paese: si vendono auto, elettrodomestici e televisori, si costruiscono autostrade e quartieri satellite, i democristiani governano con l’appoggio dei socialisti e il più grande partito comunista occidentale non riesce né a interpretare né a contenere la rabbia operaia per una realtà che, nonostante le apparenze, dalla fine della guerra non è cambiata.

La vicenda romanzesca si svolge fra il 1958 e il 1959. Il protagonista, Walter Ferranini, è un militante comunista della provincia di Reggio Emilia che ha la stessa età di Morselli. Prima dello scoppio della guerra emigra negli Stati Uniti, dove resta per sette anni e dove si sposa e si separa. Quando, a guerra finita, rientra in Italia, riprende a lavorare e a fare politica. Intreccia una nuova relazione con la moglie separata di un iscritto, che è osteggiata dal Partito per ragioni opportunistiche e morali. Nel ’58, grazie al suo impegno, al suo seguito e alle sue capacità viene eletto alla Camera dei Deputati.

A Roma Ferranini trova una realtà lontana dai lavoratori, di cui non si sente parte. Assiste alle sedute parlamentari senza prendere mai la parola, studia i classici del marxismo e cerca di mantenere i contatti con la base occupandosi di legislazione antinfortunistica.

Quasi per caso scrive un articolo per Nuovi Argomenti, la rivista di Moravia, in cui espone la sua concezione del lavoro. Nel lavoro Ferranini vede la forma moderna dell’eterna lotta dell’uomo contro le avversità dell’ambiente e perciò è convinto che, anche se amministrato con giustizia (e quindi anche nei paesi comunisti), sia destinato a rimanere sempre e comunque una condanna e una pena. L’articolo viene pubblicato senza il visto del Partito, la stampa nazionale lo riprende, la Democrazia Cristiana e le destre lo strumentalizzano e diventa un caso. Ferranini, a cui non sembra di aver detto niente di sbagliato, subisce un processo interno a conclusione del quale i dirigenti del Partito gli chiedono di ripudiare pubblicamente ciò che ha scritto.

Prima che possa farlo riceve un telegramma dalla ex moglie americana che non sente da anni, che gli dice di essere malata e lo supplica di andarla a trovare. Ferranini ottiene faticosamente il visto e parte. Negli USA vede l’involuzione futura dell’Italia, nella moglie (reduce da una depressione e da un tentato suicidio) l’involuzione del suo credo politico e sociale. Al suo rientro, una settimana dopo, decide di abbandonare tutto, di lasciare Roma e di tornare a Reggio forse con l’amante, forse dai suoi vecchi compagni.

Il comunista è un grande romanzo realista, in bilico fra Dostoevskij e Conrad. Rifiutato in prima battuta dall’Einaudi di Calvino con il pretesto di una presunta inverosimiglianza (chiunque conosca il Partito, scrive Calvino, sa che non è come lei lo rappresenta), viene accettato dalla Rizzoli. Purtroppo, quando il libro è già in bozze, un cambio ai vertici editoriali determina l’allontanamento di Giorgio Cesarano, l’editor che l’aveva proposto, e la sostanziale cancellazione delle sue scelte. Il romanzo sarà pubblicato postumo nel 1976.

Il comunista raffigura la nostra piccola Italia alle soglie di un periodo di grandi cambiamenti. Il romanzo anticipa non solo i contenuti della contestazione del ’68-’69 ma anche di quella degli anni settanta. La concezione del lavoro di Ferranini nasce dagli scritti giovanili di Marx, dalla cui interpretazione estremizzata nasce anche il rifiuto del lavoro, uno dei cavalli di battaglia dell’area dell’autonomia. E non è un caso che proprio Giorgio Cesarano, che negli anni settanta sarà uno degli interpreti più radicali del movimento, sia stato il primo (e l’unico, almeno fino alla morte di Morselli) a promuoverlo.

Credo che si possa dire che Il comunista non è un romanzo di critica al comunismo quanto piuttosto il romanzo di un comunista critico (anche se non credo che Morselli si sia mai definito tale), una critica della burocrazia e delle sue ideologie, una critica del Partito. Leggerlo può essere anche una buona medicina per curare gli effetti del tempo e delle agiografie.

Ma, prima di ogni altra cosa, Il comunista cattura la nostra attenzione perché è il romanzo di una disillusione, la disillusione di chi vede svanire o sgretolarsi i propri ideali di uguaglianza, pace e libertà nei compromessi della politica e più in generale della vita quotidiana. Nel protagonista, sempre più estraneo a un ruolo in cui fatica a riconoscersi e a un partito che lo condanna sia nel privato che nel pubblico, riconosciamo la nostra inevitabile e progressiva estraneazione dalla politica, la nostra disillusione e il nostro scivolare (forse) verso qualcos’altro, come accade a lui in un epilogo che chiude il romanzo ma non lo conclude.

Un libro da ascoltare ma soprattutto da leggere, dall’inizio alla fine.

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