La mossa “Fred Bongusto”
Questa è la storia di una donna, una volpe… una volpe che io chiamerò Circe.
Scegliere che nome proprio dare ad un personaggio di questo tipo, e’ una grande responsabilità.
Ne ho pensati molti, li ho scritti.. ma stonavano quasi tutti.
La donna di questo racconto è una di quelle che si nasconde nella moltitudine, ma che sa emergere da essa quando le va , quando le piace.
Può essere chiunque.
Sarebbe bello che chi leggesse questa storia , scegliesse per lei un nome a suo piacimento.
Perché in ogni immaginario alberga una sezione “battesimi” per dare un nome a chi non si conosce, sulla base di ciò che percepiamo ma non sappiamo.
Sulla base di un colore che ci sembra avere e che può intravedersi a prima vista, anche da lontano.
Quindi, datele la voce che vorreste che avesse.
Io le ho cucito addosso un vestito da volpe e infine, le ho regalato un nome mitologico.
Per come pensa.
Per come si muove.
Per la Circe di Omero, che invitava a cena le sue vittime per poi trasformarle in animali.
Per la sua “Mossa Fred Bongusto”.
E voi direte, e cosa caspita c’entra Fred Bongusto?
La volpe Circe era una donna che aveva già imparato molto dalla vita…
Volitiva ma saggia.
Fiera.
Ironica.
Spiazzante.
Amava giocare ed essere al contempo passionale con chi le piaceva…continuando comunque ad apprezzare enormemente i piaceri della solitudine e della propria indipendenza.
Quando un uomo la intrigava particolarmente, non amava essere troppo scontatamente esplicita.
Voleva stupirsi e stupire.
Giocare sotto e sopra le righe.
Giocare usando come base la tensione data dalla non comprensione degli intenti.
Capire l’effettiva presenza di un’alchimia e includere in essa la potenza di un bisogno primario… quello di nutrirsi.
Giocava con la fame.
Sì… giocava con il cibo.
Gli cambiava nome.
E imparò a farlo dopo aver ascoltato una canzone…
Una sera infatti, dopo una giornata intensa a lavoro, la nostra Volpe Circe decise di ascoltare per la prima volta un disco regalatole da un’ amica per Natale.
La casa era calda mentre fuori folate di tramontana bruciavano la pelle.
Le luci, soffuse.
Era un vecchio vinile anni ‘70… e tra le tracce , c’era un pezzone di Fred Bongusto dal titolo “Che bella idea”.
Durata: tre minuti e cinquantotto secondi.
Il pezzo racconta di un invito a cena a casa di una donna.
L’ invitato è un lui.
Ma, colpo di scena, lei non ha cucinato niente.
C’è solo una buona musica di sottofondo… l‘atmosfera è sospesa, inaspettata.
A due minuti e dieci secondi, l’uomo che sta quasi per andarsene nell’imbarazzo di non aver capito niente, finalmente realizza che la cena non è in tavola perché la fame in gioco non è quella per il cibo… quindi, decide di restare e lasciarsi sedurre… per poi esclamare “che bella idea!”, tanto ha gradito questa cena mancata ma fatta comunque di carne e questa straordinaria rivisitazione del concetto di fame.
Ecco,
quella sera,
con quella canzone,
Circe conobbe la sua epifania e trasformò quell’esperienza nella sua “mossa Fred Bongusto”.
Una sua personale “challenge”, prevedeva infatti di far caso a quanto tempo occorresse all’invitato per capire come la fame potesse cambiare “forma” e profondità nel proprio immaginario.
La “mossa Fred Bongusto” era quel trucco pieno di pepe che svelava pathos e alchimia in modo giocoso e quasi predatorio.
Quella mossa, portava ad un escalation di sguardi, interrogativi più o meno taciuti e cambi di atmosfera, che erano degni di una commedia erotica dell’ assurdo.
L’intento non doveva essere capito né troppo presto, né troppo tardi.
L’intento doveva svelarsi e risvegliarsi come un gusto.
“Posso aiutarti ad apparecchiare?
Piatto fondo o piano?” Erano spesso le domande che rompevano l’iniziale imbarazzo del non scorgere niente di imbandito…
Poi risate.
Un sorso di vino.
I minuti che passano.
Gli occhi.
Il silenzio.
I respiri.
La cena mancata.
O forse no…
La pelle.
Le bocche.
Un sapore.
La fame.
Nutrirsi.
La “mossa Fred Bongusto”.