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Il male inguaribile del fascismo

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Ci voleva la senatrice Liliana Segre, una signora di quasi 94 anni, presente con i suoi interventi a Palazzo Madama molto più di tanti colleghi meno attempati, per spingerci a riflettere profondamente sui fascismi.

I suoi J’accuse pacati ma profondamente incisivi sul cammino pericoloso intrapreso da certe forze politiche contro la nostra democrazia, hanno lanciato un allarme che è impossibile ignorare.

In un incontro-intervista con Marianna Aprile, giornalista della Sette, ha commentato i risultati obbrobriosi dell’inchiesta con video di Fanpage su un raduno della Gioventù di Fratelli d’Italia – e i loro mentori – inneggianti al fascismo e al nazismo, all’antisemitismo, pieni di Sigh Heil e di saluti romani.

Cito un periodo del suo intervento: «Ho seguito nelle varie trasmissioni questa seduta, chiamiamola così, con questi motti nazisti che ricordo in modo diretto e non per sentito dire. Ora alla mia età dovrò rivedere tutto questo? Dovrò essere cacciata dal mio Paese, da cui ero stata già cacciata una volta?»

Ritorno al fascismo. La senatrice avverte una costante demolizione delle istituzioni della nostra Repubblica, ma le sue parole rappresentano anche un monito per gli antifascisti italiani, coloro che criticano in continuazione questo governo (come facevano del resto con Berlusconi) sottovalutandone però il pericolo più grave di un ritorno al fascismo.

Mi riferisco soprattutto agli intellettuali e ai rappresentanti della stampa democratica: Massimo Cacciari, che durante le sue irruenti partecipazioni agli Otto e mezzo della Gruber, continua a sostenere che il fascismo non può tornare; a Massimo Giannini, Andrea Scanzi, Marco Travaglio che la pensano allo stesso modo, criticando con ironia e con sorrisetti gli atteggiamenti nostalgici della Meloni e dei suoi compari.

Il fascismo invece può ritornare, casomai con un nome diverso, ma può rimettere profondamente le sue radici nel Paese, senza venire ostacolato. Ha già incominciato con le leggi reazionarie che passano grazie alla maggioranza ottenuta da un popolo indifferente, ignorante e opportunista e la complicità di quei “progressisti” che non sono andati a votare.

L’antisemitismo non cova soltanto tra i ragazzi e i loro maestri adulti che occupano posti importanti in seno a Fratelli d’Italia. Esiste un’altra frangia, diciamo politicamente opposta, che nel nome del popolo palestinese manifesta inneggiando ad Hamas e contesta cittadini israeliani o italiani di origine ebraica.

Per esempio un mese fa hanno impedito di parlare in pubblico a Maurizio Molinari, di famiglia ebraica, direttore di Repubblica e più di recente hanno fischiato a Torino David Grossman, uno scrittore israeliano che sempre ha contestato con le sue opere il governo di Gerusalemme e affrontato un continuo cammino verso la pace. Hanno mai letto un suo libro?

La generazione di mezzo. Che cosa accomuna questi giovani di destra e di “sinistra” se non una totale ignoranza? Sono incolti, non conoscono la Storia. Sono i figli della generazione di mezzo, quella dei cinquantenni che hanno fallito nell’educarli, che li hanno lasciati troppo liberi, senza controlli, pensando di essere “moderni”.

Oppure sono figli degli altri cinquantenni quelli meno “civilizzati”, che si riempiono di tatuaggi, che aggrediscono gli insegnanti, che creano il caos alle curve degli stadi di calcio e quando assistono alle partite dei loro piccoli li incoraggiano a tirare calci agli avversari. Gente rozza, prepotente che non legge i giornali e non ha mai letto un libro.

La responsabilità della scuola. Non c’è dubbio che oltre alla responsabilità delle famiglie, c’è quella della scuola. Ma se la paragono alla scuola dei tempi della generazione del dopoguerra, che io frequentavo, oggi è senz’altro migliore.

Alle elementari, nel Sud, era consuetudine dei maestri usare la bacchetta per punire gli allievi, se poi questi appartenevano alle classi inferiori venivano puniti anche a schiaffoni e a calci. Rimasi stupito quando da bambino arrivai in Toscana e mi resi conto che le punizioni corporali erano vietate.

Alle Superiori la Storia e la Letteratura si fermavano ai primi del Novecento; non si parlava mai di Resistenza, fascismo, di Repubblica, di Costituzione, di democrazia. Venivano seguiti alla lettera i programmi della riforma Gentile ereditata al completo dal regime.

Tra i miei compagni di studio solo in due o tre conoscevamo la storia recente, ma per merito dei nostri genitori. Ricordo una volta che feci quasi a botte col primo della classe quando accennando all’Italia fascista, mi disse che se Mussolini non fosse stato arrestato, avremmo vinto la guerra insieme ai tedeschi. Questo era il livello medio.

Ovviamente non esisteva lo “studio assistito”, con l’intervento di psicologi e assistenti ai disabili. Questi dovevano arrangiarsi o andare alle “scuole differenziate”.

Pensavano i partiti politici a sostituite la Scuola nell’ informare la gioventù su quanto accadeva nella società contemporanea: il Pci e il Psi attraverso la rete delle sezioni locali; la Dc con le parrocchie nelle quali, seppur molto rari, alcuni preti – come Don Milani – seguivano le regole del laicismo progressista.

Tra questi due mondi molto è cambiato: la società si è sviluppata con il boom economico e l’arrivo di leggi più moderne. Eppure il fascismo come pensiero e movimento politico non è stato mai messo in un angolo buio della nostra storia. Anzi ha sempre mostrato il suo volto pericoloso, come un male inguaribile.

Non dimentichiamo la serie dei tragici attentati commessi dai neofascisti. Alcuni di loro hanno pagato il conto con la giustizia, ma i mandanti se la sono sempre cavata, grazie alle complicità di uno Stato “sordo e cieco”, anche quando era condotto dalle sinistre.

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